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lunedì 29 novembre 2010

Hesperides

A proposito degli agrumi dai frutti mostruosi, qualche giorno fa ho postato le riproduzioni di alcune stampe tratte da tre diversi testi pubblicati tra il XVII e il XVIII secolo.

A quel tempo frutti simili prendevano il nome di meraviglie o di bizzarrie ed erano molto pregiati in quanto ritenuti rarità botaniche di origine misteriosa. Solo in tempi relativamente recenti si scopre che le meraviglie sono malformazioni causate dall’infestazione sulle gemme da fiore di un acaro (Eriophyes sheldoni), mentre le bizzarrie sono dovute alla compresenza nel frutto di cellule sia del portainnesto sia della varietà innestata – arancio amaro e limone, ad esempio (una delle possibili forme del chimerismo in natura).

Ma torniamo ai testi; si tratta di Hesperides sive de malorum aureorum cultura et usu libri quator, pubblicato a Roma nel 1646 da Giovan Battista Ferrari, e di Nürbergisches Hesperides oder gründliche Beschreibung der edlen Citronat, Citronen und Pomeranzen, pubblicato a Nürnberg nel 1708 da Johann Christoph Volkamer, cui seguirà nel 1713 Continuation der Nürbergischen Hesperidum oder Fernere gründliche Beschreibung der edlen Citronat, Citronen und Pomeranzen.

Giovan Battista Ferrari (1584-1655), gesuita, già studioso di lingue orientali, lavora per molti anni alle Hesperides, trattato in cui riunisce e compara con metodo scientifico informazioni tratte da testi classici, da autori e da coltivatori contemporanei, dalla propria esperienza e da quella di viaggiatori e di appassionati. È accompagnato nelle sue fatiche da Cassiano dal Pozzo, segretario del Cardinale Francesco Barberini* e importante figura nel panorama culturale del tempo, che, tra l’altro, gli assicura la collaborazione di vari artisti (tra cui spiccano Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, Guido Reni) per l’esecuzione delle tavole che completano il testo. Anche la scelta dei soggetti da rappresentare è ben meditata, come testimoniano i vari disegni preparatori, alcuni dei quali, non tutti utilizzati nelle incisioni, sono stati identificati recentemente in una raccolta presso la Royal Library di Windsor Castle e risultano analoghi a quelli fatti realizzare per il Museo Cartaceo dallo stesso Cassiano (si veda l'articolo di David Freedberg da cui è tratta l'illustrazione qui sotto).

 
Hesperides esce dai confini italiani (il latino è la lingua della scienza, come oggi l’inglese) e influenza il lavoro di appassionati e studiosi; tra questi Jan Commelin, fondatore dell’Orto Botanico di Amsterdam, autore tra l’altro del Nederlantze Hesperides, saggio pubblicato nel 1676 sugli agrumi coltivati in Olanda, e che abbiamo già ricordato a proposito dell’Hortus Indicus Malabaricus.

Figlio di un medico, il borghese Johann Christoph Volkamer (1644-1720) sviluppa una passione che lo accomuna alla nobiltà europea e colleziona piante di agrumi che coltiva nel proprio giardino presso Norimberga. Da botanico appassionato, ha un approccio meno rigoroso – meno scientifico – rispetto al lavoro del Ferrari, che pure mostra di conoscere; ma il Volkamer ha un’intuizione per la quale dobbiamo essergli molto grati: nelle numerose incisioni che costituiscono buona parte del lavoro, a ciascuna varietà di agrume è associata l’immagine di una città, una villa o un giardino (molti quelli veneti, soprattutto nella Continuation), oggi preziosi documenti della storia del paesaggio – oltre che di un cambiamento nella percezione dello stesso, non più inteso solo come “sfondo”.

Si tratta dei principali testimoni di un diffuso interesse che proprio tra Sei e Settecento ha il suo acme sia in Italia sia in Europa. Interesse che ha origini molteplici: gli agrumi sono piante che portano frutti d’oro, come nel Giardino delle Esperidi; che mostrano insieme fiori e frutti quasi in avvicendamento perpetuo, come gli alberi del Paradiso Terrestre; che le difficoltà di coltivazione e il numero delle varietà da collezionare fanno perfetti status-symbol per le classi agiate; che grazie agli aromi sprigionati da frutti, fiori e foglie, trovano impiego nella medicina, nella cosmesi e nell’arte culinaria**, tanto da divenire colture di grande valore commerciale.

La loro storia in Occidente attraversa i secoli. Tralasciando quelli raffigurati a Pompei nella Casa del Frutteto, lontani nel tempo e a lungo dimenticati, limoni sono presenti nel giardino descritto dal Boccaccio all’inizio della Terza Giornata del Decameron (giardino che credo debba essere inteso come estrema propaggine geografica e temporale degli esempi spagnoli, siciliani e campani, a loro volta debitori della cultura araba: agli Arabi si deve la re-introduzione degli agrumi, di origine cinese, in Europa); limoni o cedri troviamo in dipinti quattro- e cinquecenteschi (per tutti, la Madonna della Vittoria dipinta da Andrea Mantegna nel 1496 per i Gonzaga, ora al Louvre); dalle corti rinascimentali italiane il gusto per gli agrumi si diffonde nel nord Europa, mentre della coltivazione nelle cedrare come pratica diffusa nel nord Italia parla Vincenzo Scamozzi ne L'idea dell'architettura universale, pubblicato a Venezia nel 1615***:

“I luoghi delle Cedrare siano del tutto all’aspetto di mezo dì; e massime in quella parte della Lombardia, e quì intorno à Venetia: ove da non molto tempo in quà ad imitazione della Riviera di Salò, ove riescono meravigliosamente, si sono introdotte, e vi riescono con molta felicità, come à Verona ad Avesa nel Suburbano di Casa de Signori del Bene, & altri molti à Vicenza […]. […] Oltre a ciò le Cedrare deono esser in qualche luogo elevato, e pendente, ò dalla natura, come à Vicenza, & à Verona, overo rilevate dal piano con arte, come le rimanenti, con mura à meza altezza d’huomo; acciò che siano solive, e lungi dalle humidità.”

Queste speciali serre, in cui le piante erano coltivate sia in piena terra sia in vaso, vanno trasformandosi da strutture a pannelli lignei, rimossi durante la bella stagione, a veri e propri edifici in muratura, talvolta molto ornati e compiutamente inseriti tra le meraviglie dei maggiori giardini. L’Hortus Palatinus, che nasce a Heidelberg nel 1614, ospitava entrambe le tipologie, mentre a Versailles, tra il 1684 e 1686, è realizzata la grandiosa Orangerie, capace di dare riparo a un migliaio di arbusti e di cui la sola galleria centrale si sviluppa per più di 150 metri.

Sul Lago di Garda intanto la coltivazione degli agrumi, già ricordata dal Volkamer, diviene un’industria, che alimenta soprattutto i mercati austriaci. Goethe sulle pagine del suo famoso diario, nei primi giorni del “viaggio nel dolce paese della bellezza” (8 sett. 1786), più volte annota quanto gusti piaceri anche più semplici delle meraviglie naturali o delle opere dell’uomo, descrivendo la frutta saporita di inizio settembre, rara a nord delle Alpi: uva, pesche, fichi, pere “che non è meraviglia se son deliziose nel paese dove già allignano i limoni” (12 sett. 1786). Che forse sono il paradigma di ciò che il letterato tedesco cerca in Italia. Attraversando il Lago di Garda in barca, Goethe osserva attentamente i particolari delle coltivazioni di agrumi lungo la riva bresciana; assieme agli ulivi carichi di bacche scorti scendendo a Torbole e ai rametti di cappero e cipresso raccolti al Giardino Giusti di Verona, gli agrumi illustrano quanto Goethe percepisca in questi lembi di territorio un’anticipazione del paesaggio mediterraneo cui sta andando incontro.****
 


* Curatore degli Horti Barberini, l’orto botanico privato del cardinale Francesco Barberini, il Ferrari nel 1632 pubblicava Flora, seu De florum cultura, un trattato di floricoltura.

** “Vendi le frondi [dei cedri] per ornar mazzetti, e verdeggiar le tavole, e [per] la salsa verde. I fiori oltre a venderli, a minuto, & a peso d’oncia à guissa de i più pretiosi aromati alla piazza, si stillano facendone acqua odorifera […]; se ne fa oglio odorifero […]; con gustoso lusso si confettano; non dico di tramezarli ne’ panni bianchi, e coloriti, per esser noto à tutti.
[…] fino putrefatto marzo il Limone vendesi per servitio de colori, con quale il bellissimo incarnato si fa, overo per dar nero lustro à corami, onde quel diligente servo con guscie di Limone, ò Naranci, già strette, e cavato il sugo, misticando con quella poca d humidità, che ci resta, tinta di padella, ò caldaia, faceva parer nove le vecchissime scarpe del padrone.”
Vincenzo Tanara, L'economia del cittadino in villa, Bologna, 1653.

*** Scamozzi, L'idea dell'architettura universale, parte prima, libro terzo, cap. XXIII, pp. 325-326.

**** Nel Wilhelm Meisters Lehrjahre, Mignon recita i ben noti versi:

Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn,
Im dunkeln Laub die Goldorangen glühn,
Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht,
Die Myrte still und hoch der Lorbeer steht?
Kennst du es wohl? Dahin!
Dahin möcht' ich mit dir,
O mein Geliebter, ziehn.

Kennst du das Haus? Auf Säulen ruht sein Dach,
Es glänzt der Saal, es schimmert das Gemach,
Und Marmorbilder stehn und sehn mich an:
Was hat man dir, du armes Kind, getan?
Kennst du es wohl? Dahin!
Dahin möcht' ich mit dir,
O mein Beschützer, ziehn.

Kennst du den Berg und seinen Wolkensteg?
Das Maultier such im Nebel seinen Weg,
In Höhlen wohnt der Drachen alte Brut;
Es stürzt der Fels und über ihn die Flut.
Kennst du ihn wohl? Dahin!
Dahin geht unser Weg!
O Vater, laß uns ziehn!


Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Nel verde fogliame splendono arance d'oro
Un vento lieve spira dal cielo azzurro
Tranquillo è il mirto, sereno l'alloro
Lo conosci tu bene? Laggiù!
Laggiù vorrei con te, 
O mio amato, andare!

Conosci tu la casa? Su colonne riposa il suo tetto
La sala splende, rifulgono le stanze,
Statue di marmo immobili mi guardano:
Ma a te, povera bimba, che hanno fatto?
Lo conosci tu bene? Laggiù,
Laggiù vorrei con te,
O mio signore, andare!

Conosci il monte, il suo sentiero tra le nuvole?
Cerca il mulo la strada nella nebbia,
Nelle grotte si cela l’antica stirpe dei draghi;
La roccia precipita, su di essa il torrente.
Lo conosci tu bene? laggiù,
Laggiù porta il sentiero!
Oh padre, andiamo!




1 commento:

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