NO, NON È UN BLOG DI GIARDINAGGIO
MA POTRESTE TROVARE QUEL CHE NON STATE CERCANDO


giovedì 29 luglio 2010

Cartoline

A una settimana di distanza una dall'altra, ho visitato due vallate vicine tra loro sulle Dolomiti. Entrambe sono state attrezzate per accogliere i turisti - ma se in una ciò avviene con discrezione, con più mestiere si potrebbe dire, nell'altra gli adescamenti sono più scoperti - più leggibili nel contrasto tra le cime aspre, inadatte a un turismo "comodo", e i pendii più dolci in basso, quasi totalmente antropizzati (questo è solo il primo dei termini in corsivo nello scritto di oggi: vi sono parole il cui significato andrebbe ridefinito ogni volta).

Durante l'inverno sciare per quei monti e per quelle valli sarà certo molto divertente: una pista prolunga l'altra e tutte sono collegate dai nuovissimi impianti di risalita che permettono di valicare passi e di cambiare versante senza fatica, senza noie; ma in estate, sciolta la copertura della neve, la suggestione giocosa scompare e la fisionomia della montagna appare nuda e alterata da sterri e rinterri, disboscamenti e rimboschimenti, con torrenti deviati, canalizzati o dai letti in cemento, con piloni, tralicci, quadri per i collegamenti elettrici, cannoni sparaneve, ripetitori telefonici, antenne, cavi sospesi... La vegetazione è impoverita: poche specie resistono allo stress dovuto al passaggio degli sciatori e dei mezzi per la manutenzione o al dilavamento causato dall'acqua del disgelo prima e poi dei temporali estivi, non più trattenuta dagli alberi o dai cespugli (rododendri, mughi, ginepri, ontani e salici nani) estirpati su tutta la larghezza del tracciato delle piste; gli animali - uccelli e marmotte i più visibili - si sono ritirati sui versanti più ripidi o rocciosi.
Ho avuto più occasioni di entrare per lavoro in un parco di divertimenti durante i mesi di chiusura - e analoga è stata l'impressione deludente nello scoprire il fondale dipinto che si mostra per quello che è.

Alpe di Pampeago

Eppure le montagne sembrano saper offrire una resistenza superiore a quella di cui sono stati capaci le foreste, ora campi coltivati, o i fiumi, racchiusi in alvei artificiali, o i colli ora terrazzati se non traforati dalle cave; forse perché le montagne possono "produrre" solo grazie alla propria bellezza: alterarle oltre un certo grado significherebbe distruggerla - e fine del business. Alle modifiche degli altri elementi del paesaggio ci siamo abituati tanto da non avvertirle più come tali - tanto che ci appaiono luoghi naturali. La montagna rivela ancora quel che era prima che vi mettessimo mano, anche se molto abbiamo fatto per addomesticarla - e dunque rivela pure le nostre capacità di conversione dei luoghi: da spazi spontanei a proprietà.

Marmolada dal Rosengarten

Marmota marmota


Passaggio che potrebbe essere forzato dagli intenti del Governo sui beni demaniali.

venerdì 23 luglio 2010

Sol Leonis

Più che impazzito di luce, combusto dal caldo.

Helianthus annuus "RedSun"

Helianthus annuus "Red Sun" (Golden Line - Franchi Sementi).


I neutrasmettitori evaporano sulle sinapsi
e l'afa mi sfa.

(Cattiva imitazione di Toti S. - ma, se non rinfresca, pure i post stentano).

mercoledì 21 luglio 2010

Giardino di Poeta - 06

La malattia dell'olmo

Se ti importa che ancora sia estate
eccoti in riva al fiume l'albero squamarsi
delle foglie più deboli: roseogialli
petali di fiori sconosciuti
- e a futura memoria i sempreverdi
immobili.

Ma più importa che la gente cammini in allegria
che corra al fiume la città e un gabbiano
avventuratosi sin qua si sfogli
in un lampo di candore.

Guidami tu, stella variabile, fin che puoi...

- e il giorno fonde le rive in miele e oro
le rifonde in un buio oleoso
fino al pullulare delle luci.
                                           Scocca
da quel formicolio
un atomo ronzante, a colpo
sicuro mi centra
dove più punge e brucia.

Vienmi vicino, parlami, tenerezza,
- dico voltandomi a una
vita fino a ieri a me prossima
oggi così lontana - scaccia
da me questo spino molesto,
la memoria:
non si sfama mai.

È fatto - mormora in risposta
nell'ultimo chiaro
qull'ombra - adesso dormi, riposa.

                                                            Mi hai
tolto l'aculeo, non
il suo fuoco - sospiro abbandonandomi a lei
in sogno con lei precipitando già.


Vittorio Sereni, da Stella variabile, 1979.

Giardino di Poeta - 05

Ancora sulla strada di Zenna

Perché quelle piante turbate m'inteneriscono?
Forse perché ridicono che il verde si rinnova
a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia?
Ma non è questa volta un mio lamento
e non è primavera, è un'estate,
l'estate dei miei anni.
Sotto i miei occhi portata dalla corsa
la costa va formandosi immutata
da sempre e non la muta il mio rumore
né, più fondo, quel repentino vento che la turba
e alla prossima svolta, forse, finirà.
E io potrò per ciò che muta disperarmi
portare attorno il capo bruciante di dolore...
ma l'opaca trafila delle cose
che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo,
la spola della teleferica nei boschi,
i minimi atti, i poveri
strumenti umani avvinti alla catena
della necessità, la lenza
buttata a vuoto nei secoli,
le scarse vite che all'occhio di chi torna
e trova che nulla è veramente mutato
si ripetono identiche,
quelle agitate braccia che presto ricadranno
quelle inutilmente fresche mani
che si tendono a me e il privilegio
del moto mi rinfacciano...
Dunque pietà per le turbate piante
evocate per poco nella spirale del vento
che presto da me arretreranno via via
salutando salutando.
Ed ecco già mutato il mio rumore
s'impunta un attimo e poi si frena
fuori da sonni enormi
e un altro paesaggio gira e passa.


Vittorio Sereni, da Gli strumenti umani, 1965

venerdì 16 luglio 2010

Cocomerina!

Sarà il caldo?

Leggendo qui accanto, la memoria è andata subito a una vecchia (quasi: ha meno anni di me...) avventura di Paperino, Zio Paperone e l'estratto di cocomerina, pubblicata su Topolino n° 1110 del 6 marzo 1977, sceneggiata da Giorgio Pezzin e disegnata da Giorgio Cavazzano.


Zio Paperone desidera produrre dell'uva gigante usando uno "stimolatore della crescita" estratto dalle angurie - il risultato non sarà quello sperato...

Ma le arancocche, le banere, i melelli e i peschiofi restano di grande attualità.

   
 ...


...



... Dite che fossero un po' anarchici  i nostri autori disneyani?


(Le pagine vengono da una successiva pubblicazione del racconto, compresa nell'albo I classici di Walt Disney n. 102, giugno 1985).

(Starò violando qualche diritto? Chi lo sa...).

giovedì 15 luglio 2010

Giardino di Poeta - 04

Concerto in giardino

A quest’ora
innaffiano i giardini in tutta Europa.
Tromba di spruzzi roca
raduna bambini guerrieri,
echeggia in suono d’acque
sino a quest’ombra di panca.

Ai bambini in guerra sulle aiole
sventaglia, si fa vortice;
suono sospeso in gocce
istante
ti specchi in verde ombrato;
siluri bianchi e rossi
battono gli asfalti dell’Avus,
filano treni a sud-est
tra campi di rose.

Da quest’ombra di panca
ascolto i ringhi della tromba d’acqua:
a ritmi di gocce
il mio tempo s’accorda.

Ma fischiano treni d’arrivi.
S’è strozzato nel caldo
il concerto della vita che svaria
in estreme girandole d’acqua.


Vittorio Sereni, 1937

mercoledì 14 luglio 2010

Come coltivo le gloriose

Gloriosa superba "Rotshildiana"

Le gloriose (Gloriosa superba), si diceva, sono piante originarie di zone tropicali, dove la stagione avversa è quella secca - freddo là non ne fa... salvo eccezioni. Per superare il periodo arido, le gloriose sono diventate geofite, ovvero hanno sviluppato un organo di riserva sotterraneo - in questo caso un tubero - dove immagazzinare acqua amidi ecc. cui attingere per sviluppare le fronde all'inizio della successiva stagione delle piogge (e sarebbero facilmente divorate da erbivori affamati se non sapessero difendersi con un veleno potente come la colchicina, presente in tutta la pianta ma più concentrata proprio nel tubero).

Conoscere le caratteristiche fisiche della regione in cui cresce spontanea la pianta che si desidera coltivare è sempre di grande aiuto: anche quando i manuali di giardinaggio non riportassero informazioni utili, potreste dedurle dalla natura del terreno (argilloso, sabbioso, umido, arido...) dall'andamento delle temperature e della piovosità caratteristiche di quell'ambiente - uno dei vantaggi della Rete è la facilità con cui questi dati possono essere rintracciati.

Il tubero - come il bulbo e il rizoma - pur se sotterraneo è comunque un fusto; possiede perciò almeno una gemma (un "occhio") da cui si svilupperanno radici e fusto epigeo - o almeno le foglie. Quelli delle gloriose sono digitiformi, mediamente di 2-3 centimetri di diametro e di 15 di lunghezza - ma possono divenire molto più grossi se le condizioni sono favorevoli. Durante il periodo vegetativo ciascuna pianta "consuma" il tubero dell'anno precedente e ne produce uno nuovo; più spesso due, che talvolta rimangono saldati alla base, in corrispondenza del vecchio fusto (da qui il rimando, presso alcune culture, all'unione tra uomo e donna). Sono ricoperti da una tunica bruna e liscia quasi totalmente, tranne nella parte distale, che appare bianca, dove si trova la gemma dormiente.

Le gloriose sono note per due peculiarità: sono tra le non molte monocotiledoni capaci di arrampicarsi e sanno farlo grazie ai viticci con cui terminano le foglie. Suppongo che i semi germinino più facilmente quando vengono a trovarsi al riparo dell'ombra di un'altra pianta, cosicché le gloriose adulte abbiano subito a disposizione un supporto cui appoggiarsi. Da sé comunque non riuscirebbero a reggersi - e pertanto si dovranno prevedere adeguati sostegni anche per quelle coltivate. Le mie piante hanno superato l'altezza di un metro e mezzo, ma in letteratura si trovano indicate dimensioni maggiori, fino a tre metri! Inoltre il fusto nella metà superiore tende a ramificare, perciò la pianta ha il volume più sviluppato verso l'alto, trovandosi così sbilanciata rispetto alla base (ramifica, ma le gemme dormienti all'ascella delle foglie restano tali: se tagliate i rami questi NON ricresceranno - la dannazione delle monocotiledoni).

Gloriosa superba "Rotshildiana"Gloriosa superba "Rotshildiana"











Suggerisco di acquistare i tuberi presso qualche rivenditore specializzato, dove inoltre è possibile scegliere tra più varietà: si risparmia e si può iniziare la coltivazione nel momento più adatto. Capitasse invece di avere tra le mani una pianta già in vegetazione, non ci si spaventi se dopo poche settimane inizia a ingiallire fino a seccare: uscendo da una serra a temperatura e umidità ben diverse da quelle di un normale ambiente, spesso dopo esser stata forzata per anticiparne la fioritura, è normale che collassi. Ma se nel frattempo la si sarà regolarmente irrigata e concimata, nel vaso rimarrà un piccolo preziosissimo tubero.

Questo va conservato, riparato con della torba (si può lasciare nel medesimo vaso in cui è arrivata la pianta), in un locale "fresco e asciutto" come amano dire i manuali - la cantina va benissimo, purché d'inverno la temperatura rimanga intorno ai dieci gradi: non di meno o marcisce, non di più o secca. La torba va lasciata asciutta: bagnandola si stimola la ripresa vegetativa.

Trascorso l'inverno e passato ogni pericolo di gelate - fine marzo - comincio la coltivazione vera e propria.
Come contenitori ho scelto dei vasi in cotto toscano alti e stretti, in modo che siano proporzionati alle dimensioni della pianta. Vasi bassi tendono a rovesciarsi quando la pianta è sviluppata - mentre vasi molto larghi sono difficili da gestire e inoltre le piante risultano ammassate; comunque un vaso di buon volume aiuta a mantenere la giusta umidità senza costringere a irrigare due volte al giorno in piena estate.

Come substrato ho adottato un terriccio per prati, già miscelato con sabbia, ben drenante: l'umidità in eccesso può far marcire radici e fusti sotterranei; credo invece che i terricci miscelati con lapillo e/o pomice non siano adatti, poiché i frammenti di roccia possono rovinare i tuberi.

Dispongo i tuberi alla distanza di 15-20 centimetri uno dall'altro, avendo cura che l'estremità bianca di ogni tubero sia alla profondità di circa 10 centimetri - orizzontali o inclinati poco importa.

Mantengo appena umido il terriccio - mai fradicio! - fino a quando spuntano le prime foglie; a quel punto distribuisco pochi grani di stallatico pellettato e regolo le irrigazioni in modo che la parte superiore del terriccio divenga "fresca" al tatto tra una bagnatura e l'altra. Dopo circa tre settimane somministro la prima concimazione chimica, in granuli a lenta cessione, che ripeto ogni 15 giorni fino alla fine della fioritura: poco e spesso è preferibile poiché tutto in una volta creerebbe degli squilibri nella crescita.

Taglio sempre i fiori appassiti, per evitare la produzione di semi, che indebolirebbe inutilmente la pianta (i tuberi nuovi bastano a moltiplicare gli esemplari). Comunque il frutto è una capsula tripartita contenente semi rivestiti da una polpa rosso acceso - per non smentirsi!

In questi anni si sono ammalate solo quando ho sbagliato terriccio e dunque irrigazione (marciumi sulle foglie) oppure hanno sofferto per concimazioni mal distribuite, divenendo clorotiche durante la fioritura (in questo caso si può in parte rimediare con concimi "rinverdenti" liquidi e/o solfato di ferro).

Aumento l'irrigazione man mano che le piante crescono e la riduco quando iniziano a ingiallire (ottobre).
Dopo di che, ricomincio - con un numero di tuberi almeno raddoppiato ogni anno...

Gloriosa superba "Rotshildiana"

domenica 11 luglio 2010

Giardino di Poeta - 03

Ore perdute invano
nei giardini del manicomio,
su e giù per quelle barriere
inferocite dai fiori,
persi tutti in un sogno
di realtà che fuggiva
buttata dietro le nostre spalle
da non so quale chimera.
E dopo un incontro
qualche malato sorride
alle false feste.
Tempo perduto in vorticosi pensieri,
assiepati dietro le sbarre
come rondini nude.
Allora abbiamo ascoltato sermoni, 
abbiamo moltiplicato i pesci,
laggiù vicino al Giordano,
ma il Cristo non c'era:
dal mondo ci aveva divelti
come erbaccia obbrobriosa.

Alda Merini, dalla raccolta La Terra Santa, 1984.

venerdì 9 luglio 2010

Gloriosa superba

Dedicato a Dona Flor, che con nervosismo e irritabilità vede avvicinarsi una data a suo dire segnata dal Tempo, mentre trascorre gli anni fulgenti...


Vi sono fiori che hanno rivelato potenzialità ricchissime nelle mani dei coltivatori, sfoggiando attraverso la selezione e l'ibridazione colori e forme in una profusione tale da far stupire, in raffronto alla modestia della pianta spontanea. Ma vi sono pure altri fiori che l'intervento umano non riuscirà a migliorare, tanto forte è il fascino del loro splendore naturale.

(Certo, altri ancora non rientrano né nella prima né nella seconda categoria, pur trovando posto nei giardini, magari coltivati in masse o osservati da vicino - con affetto, diremmo: ma un'altra volta).


Stanno fiorendo in questi giorni le piante di gloriosa. Iniziai con un solo esemplare, avuto per nulla in un negozio di fiori dove era rimasto invenduto fino a diventare invendibile. Ora sono circa settanta piante, stipate in un paio di grandi vasi, generose di foglie e di fiori (continueranno a produrne almeno fino a settembre) senza che chi le coltiva ne abbia merito: si sono trovate bene e hanno proliferato. Eppure Gloriosa superba è considerata una specie difficile e per questo trascurata.

A l'é a bella de Torriggia: tutti a vêuan e nisciûn s'a piggia - ma quando poi a s'é maiâ, tutti orieivan aveila sposâ.

L'unica vera difficoltà è data dalla sensibilità al freddo, che non permette di dimenticarla all'aperto in un angolo del giardino: e bella com'è, un po' di dedizione la pretende con ragione. Gloriosa superba infatti è una specie erbacea provvista di tubero originaria di aree a clima tropicale, dove va in riposo durante la stagione secca. Il suo areale è molto ampio, dall'Africa Meridionale all'India e oltre; il suo aspetto è variabile, non solo di regione in regione, ma pure all'interno di ciascuna area. Tant'è che i botanici passano dall'elencarne almeno una decina di specie al dichiarare che tutti i caratteri sono ascrivibili a una specie soltanto, Gloriosa superba, per l'appunto. Resiste più di altri il nome rotschildiana, che oscilla tra la specie e la varietà, conosciuto perché legato alla pianta più diffusamente coltivata come ornamentale in Occidente. Originaria dell'Uganda - pare - è quella che potete vedere nella foto.

Gloriosa superba "Rotshildiana"

(Curiosamente è fiore nazionale per due stati assai lontani tra loro, la Repubblica dello Zimbabwe e uno dei ventotto dell'Unione Indiana, il Tamil Nadu - e dei separatisti Tamil dello Sri Lanka, simbolicamente usato durante la commemorazione del Maaveerar, il 27 novembre, periodo di fioritura del Karthigaipoo, che sfoggia i medesimi colori della bandiera delle Tigri).

È dall'India che si diffondono in Europa le prime informazioni su questa pianta (che solo più tardi Linneo chiamerà Gloriosa superba), grazie alla pubblicazione, verso la fine del XVII secolo, dell'Hortus Malabaricus: opera straordinaria, di concezione ancora moderna, merita di essere descritta.

Siamo al tempo di una fase avanzata nella storia della Vereenigde Geoctoyeerde Oostindische Compagnie o Compagnia Olandese delle Indie Orientali, nata all'inizio del '600 per il commercio diretto delle spezie con i luoghi di produzione. Quando al declinare del secolo le difficoltà di mercato spingono a cercare merci alternative, Hendrik Adriaan van Rheede tot Draakenstein, governatore della colonia di Cochin sulla costa di Malabar, si interessa alle piante della farmacopea indigena e, a partire da manoscritti locali, inizia uno studio che durerà trent'anni e coinvolgerà numerose persone diversissime tra loro per capacità e cultura. (Il Barone van Rheede non vedrà però il completamento dell'opera, naufragando al largo di Bombay nel 1691).

Non soltanto botanici, medici e farmacisti olandesi: sotto l'egida del Samoothiri di Calicut e del Re di Cochin, partecipano alla verifica delle informazioni pure studiosi e guaritori indiani, che rilasceranno una certificazione apposita (poi riportata nel primo volume, citandone gli autori!), mentre per esplorare la regione alla ricerca di "nuove" specie ci si affida alle capacità logistiche dell'esercito e alle conoscenze di eruditi missionari. Accurati disegni dal vero diverranno le basi per le incisioni incluse nella pubblicazione.

Preminente tra il centinaio di figure coinvolte, Jan Commelin (1629-1692), botanico; ad Amsterdam, anche in qualità di pubblico funzionario, contribuì alla sistemazione del moderno Orto Botanico, complemento dell'Hortus Medicus e luogo di riferimento per l'acclimatazione e lo studio delle piante che la Compagnia delle Indie faceva pervenire (tra queste il caffè, la cui coltivazione dall'Africa venne estesa all'America Centrale e Meridionale). Jan Commelin, la cui opera fu completata dal nipote Caspar (1667-1734), curò la pubblicazione dell'Hortus Malabaricus e di lavori riguardanti le specie coltivate nell'orto botanico della città. Commissionò inoltre un erbario dipinto, oggi conosciuto anche come Moninckx Atlas, dal nome dell'illustratore botanico Jan Moninckx, che ne realizzò la maggior parte delle tavole e che già aveva contribuito all'Hortus Malabaricus. Naturalmente, una è dedicata a Gloriosa superba. Che però ancora non si chiama così.

Inizialmente è classificata, con la traslitterazione del nome dal Malayalam, come Mendoni - poiché l'Hortus Malabaricus si pregia di riportare, come dichiara già nel sottotitolo, il nome della pianta nelle varie lingue in cui è conosciuta: Malayalam, Konkani, Arabo, Olandese, Portoghese e naturalmente Latino, la lingua della scienza. Ma in una nota si legge: "Planta haec ex Ceylon transmissa est sub nomine Nieughala &, anno precedenti 1686, in horto Nobilissimi ac Clarissimi Domin Gasparis Fagel, floruit. Doctissimus Doctor Paulus Hermans, in celeberrima Leydensium Academensia Botanices Professor, nominat Lilium Superbum Ceylanicum". Ora, Gaspar Flegel è patrizio e uomo di stato olandese, mentre Paul Hermann è botanico tedesco formatosi a Padova, che, dopo aver lavorato per la Compagnia Olandese delle Indie Orientali, ottiene la Cattedra di Botanica all'università di Leida e sotto le sue cure il già famoso Orto Botanico diviene ricchissimo (il suo principale lavoro, Paradisus Batavus sarà studiato da Linneo, al pari dell'Hortus Malabaricus, durante la stesura di lavori come Species Plantarum, del 1753 - botanici e appassionati, non sentite qualche brivido di storia corrervi le vene?). Da Lilium Superbum Ceylanicum Linneo conierà il nuovo nome Gloriosa superba.

Ma le vie della Botanica sono tortuose e, ancora ne Les Liliacées, serie di tavole pubblicate da Pierre-Joseph Redouté tra il 1802 e il 1816, la nostra pianta viene chiamata Methonica superba...


E che rimane delle proprietà curative che il Governatore di Cochin si proponeva di sfruttare?
Almeno nello Sri Lanka e in India la medicina tradizionale continua oggi a utilizzare i tuberi di gloriosa, causandone una forte riduzione della presenza sul territorio (mentre per contrappasso, importata per ornamento, la pianta è divenuta infestante in molte isole del Pacifico). Anche in Africa l'uso terapeutico non è mai stato abbandonato. Recentemente di nuovo la medicina ufficiale se ne interessa, ancora una volta a partire dagli usi tradizionali, verificando le proprietà e isolando i principi attivi; di cui il maggiore è la colchicina, presente insieme ad altri alcaloidi (nel frattempo gli studi hanno portato a collocare, per motivi filogenetici, il genere Gloriosa dalle Liliaceae alle Colchicaceae). Se ne è iniziata la coltivazione in campo tanto che su Internet è possibile acquistare semi anche in grande quantità. Hendrik van Rheede sarebbe soddisfatto della propria intuizione.

Ma in Occidente oggi le gloriose sono conosciute soprattutto per il valore ornamentale, sia come piante da appartamento sia come fiori recisi. L'aspetto letteralmente flamboyant della corolla rimane il principale motivo di attrazione, per quanto l'esotismo che porta con sé la faccia in qualche modo apparire sempre eccessiva.

Come mostra uno splendido Rupert Everett (a quarant'anni esatti d'età, Dona Flor), Lord Arthur Goring nella versione cinematografica* di An Ideal Husband (1999), quando sceglie da indossare come buttonhole, in luogo di un fiore di gloriosa, un'orchidea candida, variazione più sottile del tradizionale bocciolo di rosa bianca:
LORD GORING. [Taking out old buttonhole] You see, Phipps, Fashion is what one wears oneself. What is unfashionable is what other people wear.
(Oscar Wilde, An Ideal Husband, Atto Terzo).

*(In questo frammento del film la scena si svolge al minuto 3.45; purtroppo la sequenza è stata tagliata, ma la si può vedere per intero nella versione integrale).


La prossima volta, una descrizione più accurata dell'aspetto della pianta e, in via eccezionale, qualche nota sulla coltivazione




Gloriosa superba sul sito dell'INCHEM - Chemical Safety Information from Intergovernmental Organizations.
Aspetti clinici dell'ingestione di tuberi di Gloriosa. Postgraduate Medical Journal, BMJ Group.
Gloriosa superba - Rare Herb of Patalkot, sul sito del Disabled World - Disability and Health News.
Azione antimicrobica degli estratti di Gloriosa. Informaworld.com.
Coltivazione della Gloriosa per scopi medicinali sul sito della Tamil Nadu Agricultural University di Coimbatore.
Usi tradizionali della pianta in India.
Vendita online di semi e tuberi.

domenica 4 luglio 2010

Giardino di Poeta - 02

Il sole qui mi sembra così caldo.
I fiori qui crescono ardenti e secchi.
E quello che qui dicono mi sembra solo suono.
Oh felice straniero in ogni luogo.


Sandro Penna
dalla terza parte [1970-1976] della raccolta Stranezze.

(poesia per i giorni aridi)

sabato 3 luglio 2010

I fiori del sambuco - Paesaggi da mangiare 03

Più una pianta è diffusa sul territorio e vi abbonda, più incide sulla fisionomia del paesaggio, talvolta in modo appariscente, come accade durante la fioritura, la fruttificazione o il mutamento di colore delle foglie in autunno. Eppure questa sarà la pianta su cui meno si soffermerà l'attenzione di chi oggi, abitando quel paesaggio senza dipenderne direttamente, la considera fin troppo comune, banale persino. Mentre proprio l'abbondanza potrebbe averne fatto una risorsa preziosa in tempi diversi dal nostro. Come è il caso del sambuco (Sambucus nigra), specie tipicamente europea, distribuita su tutto il territorio italiano grazie alla sua adattabilità, bastandole per attecchire un terreno che non rimanga secco troppo a lungo; lo testimoniano i numerosi nomi locali (Liguria, Sambugu; Piemonte, Sureau;  Lombardia, Sambüch, Schitac; Veneto, Saugo, Sambugar; Emilia, Zambuch; Marche, Savuchi; Abruzzo, Zammuco; Lazio, Sambuco puzzoloso; Campania, Savuco; Calabria, Savuco; Sicilia, Savuco di gai; Sardegna, Sambucu mascu, Saùcu, Savùcu...) e la sua elezione da parte dei botanici a specie guida negli studi di fenologia.

Sambucus nigra


In questi giorni il sambuco è ancora in fiore in montagna intorno ai mille metri d'altitudine, mentre più a valle o più a sud delle Alpi è fiorito già alcune settimane fa. E invero, pur crescendo ovunque, sembra essere una specie legata più alla cultura nord-europea che a quella mediterranea (come ricorda Alfredo Cattabiani*, con le dovute eccezioni). Secondo l'antropologia, viene preso in considerazione come alimento ciò che è abbondante, facile da raccogliere, capace di fornire adeguata quantità di calorie in rapporto a quella spesa per procurarselo e in assenza, localmente o temporalmente, di cibi più vantaggiosi. Ma, se è vero che molta frutta, coltivabile al sud, al nord non resisterebbe all'inverno o non avrebbe resa sufficiente e potrebbe perciò esser stata sostituita dal sambuco, l'uso odierno che se ne fa non sembra nascere da una necessità alimentare. L'erudito bolognese Pier de' Crescenzi, nel quinto libro del Ruralium Commodorum Libri XII, del 1304, ne registra l'uso dei rami per fabbricare archi o frecce o, essendo cavi, cannule, mentre delle foglie dei fiori e soprattutto della corteccia in medicina. Non parla d'altro. Molto più nutrito il numero degli usi previsti dalla farmacopea popolare d'Oltralpe (e alpina, pure), quando la medicina sconfinava facilmente nella magia. E il sambuco era considerato efficace nel tener lontane malie, demoni e streghe - finendo su questa strada come bacchetta magica nelle mani di Harry Potter... 
Si riteneva che le malattie fossero originate da uno squilibrio tra i quattro umori (bile, atrabile, sangue e flegma), le cui cause erano varie e molteplici, comprendendo anche gli influssi degli astri e i malefici degli uomini: la coincidenza di virtù medicamentose e apotropaiche nella stessa pianta non dovrebbe esser ritenuta casuale. Se mai dunque il sambuco ha sostituito al nord una pianta mediterranea, questa sarebbe la salvia, pianta capace di tener sani più di ogni altra (Cur moriatur homo, cui salvia crescit in horto? si chiedeva la Scuola Salernitana).
Oggi sappiamo che le parti verdi della pianta, pure maleodoranti, la corteccia e i semi sono velenosi, ma non la polpa dei frutti e i fiori. Ecco dunque che il prodotto più noto che si ricava dal sambuco, lo sciroppo ottenuto dalla macerazione dei fiori, potrebbe essere l'ultima propaggine dei preparati studiati un tempo per conservarne le virtù oltre l'epoca della fioritura.

A conferma, una ricetta svedese e una altoatesina.

Sciroppo svedese (grazie a Miriam):

infiorescenze di sambuco n. 40-50
limoni interi di coltivazione biologica n. 5-6
zucchero kg 2
acqua lt 2

Porre i limoni tagliati a fette e le infiorescenze pulite dalle scorie ma non lavate (evitate di raccoglierle lungo la strada!) in una capace pentola.
In una seconda pentola portare ad ebollizione l'acqua in cui si sarà sciolto lo zucchero.
Versare lo sciroppo sui fiori, incoperchiare e lasciare riposare 5 giorni in luogo fresco.
Trascorso questo tempo versare e imbottigliare.
Va detto che la concentrazione dello zucchero non è sufficiente per preservare lo sciroppo dalla fermentazione; è consuetudine perciò aggiungere ai fiori 50 g di acido citrico, reperibile in farmacia; anche con questo accorgimento è preferibile conservare lo sciroppo in frigorifero e consumarlo entro la fine dell'estate. In alternativa, potete congelarlo in dosi singole.

Frittelle (le gustai per la prima volta in Val Gardena molti anni fa: la ricetta che trascrivo cerca di riprodurre quella prima impressione di sapore):

infiorescenze di sambuco del diametro di 10-12 centimetri n. 20 (usare infiorescenze più grandi rende più difficile la cottura)
farina g 150
vino bianco n. 4-5 cucchiai da tavola
burro n. 2 cucchiai da tavola
latte n. 2 cucchiai da tavola
miele n. 4 cucchiai da tavola
uova n. 4
lievito per dolci g. 10
olio per friggere di sapore delicato

Setacciare la farina con il lievito, impastarli con le uova e il burro fuso, diluire con il latte e aggiungere il vino e il miele.
Immergere le infiorescenze nella pastella e tuffarle una alla volta nell'olio a 160° C, scaldato in una pentola dal fondo concavo.
Ritirarle quando le creste della pastella iniziano a scurirsi e la frittella è ben dorata. 
Farle sgocciolare su carta assorbente e mangiarle scottandosi la lingua.

Sambucus nigra

Della marmellata non do ricette: il frutto non ha alcuna traccia dei profumi del fiore e, alla fine, il lavoro necessario per separare la polpa dai semi mi sembra sproporzionato al risultato.


* Alfredo Cattabiani, Florario - Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Milano, 1996.

venerdì 2 luglio 2010

La necessità della Rosa - Rosa pendulina

Rosa pendulina

Per ricordare Ophelia e la vita delusa. (Al Lago di Tovel). 


(Del coraggio della Principessa Tresenga, delle alghe e delle deiezioni bovine, oggi non si parla). 

Lago di Tovel