NO, NON È UN BLOG DI GIARDINAGGIO
MA POTRESTE TROVARE QUEL CHE NON STATE CERCANDO


domenica 27 febbraio 2011

I colori del caprifoglio

Di che colore è il caprifoglio?
Rosa! — diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. Il colore prevalente è il bianco.
Bianco avorio. Almeno tra le specie del Vecchio Continente. Dall’America invece risponderebbero — Scarlatto! — e con buoni motivi.
Allora, niente rosa? Sì, sì, c’è pure quello. Il fatto è che il bianco vira al crema, l’avorio è soffuso di porpora ancor più che di rosa, lo scarlatto è forse vermiglio o corallo e capita sia accompagnato dal giallo ambra…

Poi, siccome quel che c’è non ci basta mai, con incroci e selezioni (l’hybris dell’ibrido!) abbiamo moltiplicato il numero dei toni e degli accostamenti, fino a ottenere, da un piccolo gruppo di specie spontanee, almeno un centinaio di varietà. La quantità delle combinazioni di colori sembra uscire da un esercizio di calcolo combinatorio – o da un divertissement grafico.

Honeysuckle Colors

Francamente trovo alcune varietà alquanto trascurabili, differenziandosi così poco le une dalle altre da apparire distinte solo agli occhi di un caprifogliologo, a trovarne qualcuno (ne esistono, sicuramente, ed è probabile che parlino inglese – tuttalpiù con accento americano). Altre ancora, invece, sia recenti sia ospiti dei giardini già da decenni – o secoli! mostrano una personalità così ben definita da attrarre anche i meno esperti.

Eppure i caprifogli rimangono piante trascurate, rispetto ad altri rampicanti. Sono rapide di crescita, ma non raggiungono le dimensioni della vite americana; sono robuste come i rincospermi, ma non (altrettanto) sempreverdi; sono più generose di fiori rispetto a molte clematidi, ma non così appariscenti; e non sono rose, cui tutto è concesso. D’altro lato, le poche esigenze, la fioritura lunga e abbondante, il profumo di molte varietà e i colori accesi delle altre ne fanno piante perfette per i piccoli giardini. È anche possibile coltivarle in grandi vasi, ricordando però che, adattatesi agli ambienti di macchia o ai margini dei boschi, come le clematidi amano “le radici all’ombra e la chioma al sole”.

I caprifogli in commercio derivano da specie asiatiche, europee e americane.

ASIATICHE
Lonicera acuminata (Lonicera acuminata var. acuminata = Lonicera henryi = Lonicera alseuosmoides)
Lonicera hildebrandiana
Lonicera japonica
Lonicera tragophylla
La specie di maggior diffusione sui mercati è Lonicera japonica, di cui si conoscono circa venti cultivar. Si distingue dalle specie americane ed europee per avere i fiori (profumati) appaiati all’ascella delle foglie, verso l’apice dei rametti, e le foglie densamente pelose sulla pagina inferiore; è sempreverde o semi-sempreverde, robusta e tende a inselvatichirsi (negli USA è classificata come invasive). Simile, ma con foglie più acute – da cui il nome – è Lonicera acuminata; specie offerta solo da vivaisti appassionati, se ne può incontrare anche la varietà acuminata, conosciuta anche come Lonicera henryi o Lonicera alseuosmoides (anche se i nomi sembrano riferirsi a due forme diverse della stessa varietà). Lonicera hildebrandiana è una specie dall’aspetto insolito, dovuto alle foglie grandi, un po’ coriacee e lucide e ancor più ai fiori, lunghi fino a 12-14 centimetri e intensamente profumati; proveniente da regioni con inverni miti, si dice sia adatta alle sole regioni italiane meridionali o alla Riviera Ligure, ma ho l’impressione che gli estimatori di piante rare saprebbero trovarle siti confortevoli anche più a nord. Una quarta specie, Lonicera tragophylla, tra i giardinanti sembra essere ancor meno conosciuta delle altre; ha fiori giallo crema, inodori, tendenzialmente riuniti in racemi all’apice dei rametti; è uno dei due genitori di Lonicera x tellmanniana.

EUROPEE
Lonicera caprifolium
Lonicera etrusca
Lonicera periclymenum
In Italia le specie più diffuse allo stato spontaneo sono Lonicera caprifolium (che però manca nelle isole) e Lonicera etrusca, questa legata ad ambienti di flora mediterranea anche settentrionali. Centro-meridionale è invece Lonicera implexa. Ancora, Lonicera periclymenum è specie soprattutto nord-europea e si spinge fino alla penisola norvegese. A un primo sguardo appaiono piuttosto simili, con i fiori riuniti in cime all’apice dei rametti, fiori dalla corolla giallo-bianca all’interno e bianca sfumata di rosa all’esterno. Gli esemplari di Lonicera etrusca hanno ramificazioni più rigide, mentre in Lonicera periclymenum sono assenti le foglie peltate alla base dell’infiorescenza che caratterizzano le specie mediterranee. Lonicera periclymenum e Lonicera caprifolium hanno i fiori più intensamente profumati del gruppo (nella penombra del sottobosco capita di odorarle ben prima di vederle). Coltivate da secoli come piante ornamentali, giunsero in America nel XVIII secolo. Là inselvatichirono e diedero origine a un ibrido, che rientrò in Europa con il nome di Lonicera x americana. Forse. Perché già si conosceva Lonicera x italica (Lonicera caprifolium x Lonicera etrusca – Pignatti, Flora d’Italia, 1982) di cui Lonicera x americana sarebbe solo la sorella nata oltreoceano – si legga cosa ne scrive Ippolito Pizzetti sulla Garzantina; ma sulla Rete si dice pure che Lonicera x americana sia un ibrido tra Lonicera implexa e Lonicera etrusca, e dunque altra cosa da Lonicera x italica. Purtroppo The Plant List non riporta Lonicera x italica, mentre classifica come unresolved name sia Lonicera implexa sia Lonicera x americana. tuttavia per i vivaisti quest’ultima resta il genitore di un importante ibrido: Lonicera x heckrottii (Lonicera x americana x Lonicera sempervirens). Al contrario delle altre specie, Lonicera periclymenum ha dato origine a un buon numero di cultivar, probabilmente in ragione della sua maggiore adattabilità.

AMERICANE
Lonicera hirsuta
Lonicera sempervirens
Lonicera flava
I colibrì amano i caprifogli. Gli americani amano i colibrì – e dunque amano i caprifogli. Moltissimo i caprifogli americani. Lonicera sempervirens è la specie più diffusa negli Stati delle Colonie e da essa deriva, direttamente o attraverso l’incrocio con altre specie, tutta la gran quantità di cultivar con toni arancioni nel fiore, toni assenti nelle specie europee e asiatiche (queste, infatti, per l’impollinazione non si affidano agli uccelli, molto attratti dal rosso, ma agli insetti). I fiori sono tubulosi, allungati, rivolti verso il basso, privi di profumo, riuniti in cime apicali. Le varietà derivate dall’ibrido Lonicera x brownii (Lonicera sempervirens x Lonicera hirsuta) sono più resistenti al freddo grazie al contributo di Lonicera hirsuta, specie settentrionale dai fiori gialli e dalle foglie grandi, pelose – da cui il nome. Lonicera flava – un rampicante modesto, con foglie ovali ampie e grappoli terminali di fiori profumati, di un luminoso giallo intenso che sfuma in toni ramati – e molte varietà di Lonicera x brownii e di Lonicera sempervirens sembrano essere disponibili solo per i giardinanti americani.

IBRIDI PRINCIPALI
Lonicera x americana (Lonicera implexa x Lonicera etrusca)
Lonicera x brownii (Lonicera sempervirens x Lonicera hirsuta)
Lonicera x heckrottii (Lonicera x americana x Lonicera sempervirens)
Lonicera x italica (Lonicera caprifolium x Lonicera etrusca)
Lonicera x tellmanniana (Lonicera tragophylla x Lonicera sempervirens)
Di Lonicera x americana e di Lonicera x italica si è detto prima. Lonicera x brownii e le sue varietà sono facilmente confondibili con quelle di Lonicera sempervirens, cui si rifanno per le caratteristiche generali, variando soprattutto nelle tonalità più o meno intense dei fiori. Lonicera x tellmanniana fece sensazione negli anni trenta del ‘900 per le ampie corolle di un giallo sontuoso e continua ad essere coltivata per i medesimi pregi. Lonicera x heckrottii (conosciuta quasi esclusivamente nella varietà “Goldflame”) somiglia alle specie europee, ma i suoi fiori sembrano soffusi della luce calda della sera – peccato le manchi il profumo. Ho trovato notizie incomplete sui genitori di Lonicera “Firecracker”, ibrido ottenuto presso lo Hilliard Arboretum da Lonicera prolifera e una specie sconosciuta. Recentemente è stato messo in commercio un “ibrido di ibridi”: Lonicera “Mandarin” (Lonicera x brownii x Lonicera x tellmanniana), dai fiori davvero flamboyant. Anche questa varietà non è profumata. Ma la situazione si risolve con un trucco semplice semplice: coltivare insieme, così vicine che i rami si intreccino tra loro, una varietà profumata e una colorata. Voilà.


Delle varietà incontrate sulla Rete, il catalogo è questo:

01. Lonicera acuminata - 1, 2
02. Lonicera alseuosmoides = Lonicera acuminata var. acuminata - 1
03. Lonicera caprifolium
04. Lonicera caprifolium “Anna Fletcher” - 1, 2
05. Lonicera caprifolium “Inga” - 1
06. Lonicera etrusca - 1
07. Lonicera etrusca “Donald Waterer” - 1, 2
08. Lonicera etrusca “Michael Rosse” - 1, 2, 3
09. Lonicera etrusca “Superba” - 1, 2, 3
10. Lonicera “Firecracker” - 1, 2, 3, 4
11. Lonicera flava - 1, 2, 3, 4
12. Lonicera henryi = Lonicera acuminata var. acuminata - 1, 2
13. Lonicera henryi “Copper Beauty” - 1, 2, 3, 4, 5
14. Lonicera hildebrandiana - 1
15. Lonicera hirsuta - 1, 2
16. Lonicera japonica - 1
17. Lonicera japonica “Aureo-reticulata” - 1, 2
18. Lonicera japonica “Cream Cascade” - 1
19. Lonicera japonica “Cream Cloude”
20. Lonicera japonica “Dart’s Acumen” - 1
21. Lonicera japonica “Dart’s World” - 1
22. Lonicera japonica “Elegant Creeper”
23. Lonicera japonica “Genbel” = “Sweet Isabell” - 1, 2, 3
24. Lonicera japonica “Hall’s Prolific” - 1, 2
25. Lonicera japonica “Halliana” - 1, 2, 3
26. Lonicera japonica “Hall's Purpurea” - 1
27. Lonicera japonica “Honeydew” = “Hinlon”  
28. Lonicera japonica “Horwood Gem” - 1
29. Lonicera japonica “Interold” - 1
30. Lonicera japonica “Maskerade” - 1
31. Lonicera japonica “Mint Crisp” - 1, 2
32. Lonicera japonica “Purple Queen” - 1
33. Lonicera japonica “Purpurea” - 1, 2
34. Lonicera japonica “Red World” - 1
35. Lonicera japonica var. repens - 1
36. Lonicera japonica var. chinensis - 1
37. Lonicera “Mandarin” - 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7
38. Lonicera periclymenum - 1
39. Lonicera periclymenum f. sulphurea
40. Lonicera periclymenum “Belgica Select” - 1, 2
41. Lonicera periclymenum “Belgica” - 1, 2
42. Lonicera periclymenum “Caprilia Cream” = “Sweet Tea” - 1, 2
43. Lonicera periclymenum “Caprilia Ever” - 1
44. Lonicera periclymenum “Caprilia Imperial” = “Peaches and Cream” - 1
45. Lonicera periclymenum “Fragrant Cloud” - 1
46. Lonicera periclymenum “Graham Thomas” - 1, 2, 3, 4
47. Lonicera periclymenum “Harlequin” - 1, 2
48. Lonicera periclymenum “Heaven Scent” - 1
49. Lonicera periclymenum “Honey Baby” - 1
50. Lonicera periclymenum “Honeybush” - 1
51. Lonicera periclymenum “La Gasnérie” - 1
52. Lonicera periclymenum “Liden” - 1, 2, 3
53. Lonicera periclymenum “Llyn Brianne” 
54. Lonicera periclymenum “Munster” - 1
55. Lonicera periclymenum “Purple Queen”
56. Lonicera periclymenum “Red Gables” - 1
57. Lonicera periclymenum “Scentsation” - 1, 2, 3
58. Lonicera periclymenum “Serotina” - 1, 2, 3
59. Lonicera periclymenum “Serpentine” - 1
60. Lonicera periclymenum “Sweet Sue” - 1, 2, 3
61. Lonicera periclymenum “Winchester” - 1
62. Lonicera sempervirens - 1, 2, 3, 4, 5
63. Lonicera sempervirens f. sulphurea = “Sulphurea - 1
64. Lonicera sempervirens “Alabama Crimson” - 1, 2, 3
65. Lonicera sempervirens “Blanche Sandman” - 1, 2
66. Lonicera sempervirens “Cedar Lane” - 1, 2, 3
67. Lonicera sempervirens “Clay Hills” - 1
68. Lonicera sempervirens “Crimson cascade” - 1, 2
69. Lonicera sempervirens “Leo” - 1, 2
70. Lonicera sempervirens “Magnifica” - 1, 2
71. Lonicera sempervirens “Major Wheeler” - 1, 2
72. Lonicera sempervirens “Manifich” - 1
73. Lonicera sempervirens “Texas Scarlet” - 1
74. Lonicera sempervirens f. sulphurea “John Clayton” - 1, 2, 3
75. Lonicera tragophylla - 1, 2
76. Lonicera tragophylla “Maurice Forster” - 1, 2
77. Lonicera tragophylla “Pharaoh’s Trumpet”
78. Lonicera x brownii
79. Lonicera x brownii “Dropmore Scarlet” - 1, 2, 3, 4, 5, 6
80. Lonicera x brownii “Fuchsioides” - 1
81. Lonicera x brownii “Kristin’s Gold” - 1, 2
82. Lonicera x brownii “Mintrum” = “Golden Trumpet” - 1, 2, 3
83. Lonicera x brownii “Punicea” - 1, 2
84. Lonicera x brownii “Simonet” - 1, 2, 3
85. Lonicera x brownii “Toison d’Or” - 1
86. Lonicera x americana - 1, 2, 3
87. Lonicera x heckrottii - 1
88. Lonicera x heckrottii “American Beauty” - 1, 2, 3
89. Lonicera x heckrottii “Goldflame - 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7
90. Lonicera x heckrottii “Pink Lemonade” - 1, 2
91. Lonicera x italica - 1, 2
92. Lonicera x italica “Sherlite” = “Harlequin” - 1, 2, 3
93. Lonicera x tellmanniana - 1, 2, 3
94. Lonicera x tellmanniana “Joan Sayers” - 1



(Si è parlato di lonicere rampicanti – madreselve, caprifogli, honeysuckles, woodbines – da un punto di vista esclusivamente giardinistico; i nomi delle specie e delle varietà sono dunque quelli comunemente accettati in ambito commerciale, mentre potrebbero essere contestati dai botanici – come si è accennato per le specie europee. Mondi paralleli: rimando alle considerazioni fatte per Rosa mulliganii/longicuspis.)

(Sarebbe interessante descrivere ciascuna cultivar e scoprirne luogo e data di origine – ma è argomento sufficiente per una monografia: di certo troppo per questo post. Troverete alcune notizie in più sulle specie principali consultando la Garzantina curata da Ippolito Pizzetti.)

Qui altre notizie sulle specie rampicanti di Lonicera.

mercoledì 23 febbraio 2011

Parlare di fiori, in giorni come questi

Ti aspetto per cena. Che cosa indosserò questa sera? Un abito sgargiante oppure uno sobrio? Cercherò di sedurti col cibo o basteranno cinque gocce di profumo? Farò in modo che solo tu possa intendermi. E saremo felici entrambi.

Pensieri di un fiore che ha in mente una sola cosa: scegliere il giusto partner per farsi fecondare. Petali, ma anche sepali, brattee, filamenti, antere, pistilli… assumono le forme e i colori più vari (è la funzione vessillare) per attrarre l’impollinatore d’elezione, assistiti oppure no dal profumo – mentre la ricompensa verrà dopo, per lo più in forma di nettare o polline.

L’interdipendenza è il risultato di un processo di coevoluzione tra la pianta e l’animale pronubo (per le anemofile e le rare igrofile ovviamente la questione è diversa – delle cleistogame manco si parla, per la troppa autoimpollinazione saranno tutte cieche). Insetti? Uccelli? O mammiferi, come accade per alcuni cactus da fiori ampi e candidi che si aprono durante la notte in attesa dell’amato chirottero?

E poi quale insetto? Ditteri, imenotteri, lepidotteri, coleotteri… la forma del fiore si adatta alla forma dell’apparato boccale e alle abitudini del pronubo – e viceversa. Bastano pochi cambiamenti perché alcuni siano esclusi a favore di altri.

Esempi di strategie diverse di “adescamento” vengono dal genere Lonicera, rappresentato in tutto l’emisfero settentrionale con circa 180 specie distribuite in Asia, America settentrionale, Europa e Africa settentrionale (ben 57, di cui 23 endemiche, crescono in Cina). La distribuzione così ampia ha favorito la differenziazione all’interno del genere; la variabilità dei caratteri secondari (e non solo), da popolazione a popolazione se non da pianta a pianta, è grande e rendono difficoltose per i botanici la classificazione e la determinazione delle specie. The Plant List, riguardo al genere Lonicera, ne enumera 526; di queste solo 108 sono accertate, mentre 105 risultano sinonimi e 313 mancano finora di una prova dell’avvenuta valutazione al momento della pubblicazione (in sintesi: giudizio sospeso).

Situazioni climatiche e pedologiche diverse incontrate nell’espansione geografica inducono le popolazioni a differenziarsi, fino alla costituzione di nuove specie; l’adattamento è soprattutto a carico di fusto, foglie eccetera; mentre le caratteristiche del fiore mutano in relazione ai potenziali impollinatori che frequentano lo stesso habitat in cui le piante si trovano a crescere.

Tra le Lonicera troviamo cespugli alti tra uno e due metri e alcune liane, alle quali appartiene la maggioranza delle varietà coltivate come ornamentali. Vivono per lo più ai margini o nelle schiarite dei boschi.

In primavera, periodo di fioritura di molte Lonicera cespugliose, questi ambienti sono frequentati soprattutto da ditteri e da alcuni imenotteri.

I fiori delle specie cespugliose minuti, dalla corolla breve, e chiari (tutte le varianti del bianco e poi anche giallo pallido o rosa chiaro), in modo da essere visibili nella penombra; talvolta molto profumati, come accade nel caso di Lonicera fragrantissima (foto sotto), destinata ai primi insetti che riprendono l’attività dopo la stasi invernale. Alcune specie mostrano fiori colorati, dal porpora al vinaccia al bruno. Sfumature improbabili nel sottobosco? Dobbiamo ricordare che la visione dei colori da parte degli insetti differisce dalla nostra. Ciechi ad alcune frequenze e sensibili ad altre (si pensi alle api) gli insetti percepiscono soprattutto i contrasti di tono, e un fiore per noi uniforme può apparire tracciato come una pista d’atterraggio.

Lonicera fragrantissima

Simulazioni dell’entomo-visione qui e qui.

La fioritura delle specie lianose di Lonicera, invece, è spostata verso l’estate, quando è maggiore il numero degli insetti in attività. La flora cinese comprende 13 specie, nelle quali il colore dei fiori va dal bianco puro al giallo isabella, talvolta con sfumature porpora all’esterno (come in Lonicera japonica var. chinensis), con l’eccezione di una varietà di Lonicera acuminata, conosciuta anche come specie a sé stante (L. henryi), con corolla dal giallo bruno al vinaccia, e di Lonicera tragophylla, dai toni giallo-arancio. Nei caprifogli il bianco spesso vira al giallo qualche tempo dopo la fioritura. I fiori sono imbutiformi, allungati (quelli di Lonicera hildebrandiana raggiungono i 12 centimetri), profumati in quasi tutte le specie (fa ancora eccezione Lonicera tragophylla).

In Italia secondo il Pignatti (Flora d'Italia, 1982) le specie spontanee sono nove, di cui quattro con portamento rampicante: Lonicera implexa, Lonicera caprifolium, Lonicera etrusca, Lonicera periclymenum. Tutte mostrano fiori tubulosi, prima bianco avorio poi giallo pallido, all’esterno sfumati di rosa anche molto carico, intensamente profumati (solo in L. etrusca il profumo è leggero).

A chi saranno rivolte così tante grazie? Il nettare, posto in fondo a una corolla lunga e stretta, è disponibile solo per chi possieda un apparato boccale adeguato: non occorre essere novelli Darwin per ricordare la spirotromba dei lepidotteri. Se poi consideriamo il colore chiaro dei fiori e il fatto che il profumo si fa più forte dopo il tramonto (l’ho verificato per le specie italiane e per alcune specie orientali), concludiamo facilmente che gli amori segreti dei caprifogli appartengono alla famiglia delle sfingidi (le “farfalle crepuscolari” che tanto piacevano al Pascoli, come ben si sa).

Il posto che sul Vecchio Continente appartiene alle sfingi, in America è conteso dai colibrì; i caprifogli si adeguano alle caratteristiche di questi nuovi partner e modificano l’aspetto dei fiori. Gli uccelli in genere hanno la vista molto sviluppata, al contrario dell’odorato; i colibrì, diurni, sono dunque attratti dai colori brillanti e caldi, che contrastino con il fogliame, più che dal profumo. Le specie rampicanti di Lonicera che sovrappongono almeno in parte il proprio areale con quello dei colibrì (come L. sempervirens, a sud-est, e le vicarianti L. ciliosa e L. arizonica, a ovest, lungo le rotte migratorie) hanno corolle affusolate, rosso arancioni, a simmetria quasi raggiata più che bilaterale e dunque prive del labbro inferiore su cui gli insetti (non le sfingi) si appoggiano nelle specie europee; il profumo è assente. La lunghezza della corolla è “calcolata” esattamente sulla lunghezza del becco – e della lingua – dei colibrì, che per suggere il nettare sono costretti a infilare il capo nella corolla stessa venendo così in contatto con antere e stigma compiendo l’impollinazione.

Tuttavia, specializzarsi su un partner non significa necessariamente escludere gli altri; in Europa i caprifogli sono visitati dai bombi più grandi come dalle sfingi, così come in America sfingi e colibrì si nutrono sulle medesime specie – in orari diversi.

(Per gli esemplari di caprifoglio americano coltivati in Europa gli impollinatori scarseggiano - ma perché sprecare tanto buon nettare? Ecco che alcuni bombi e le xilocope hanno imparato a forare la base del fiore per procurarsi il pasto) .

Ancora, le combinazioni sono numerose: corolla corta e colorata, corolla tubulosa e profumata eccetera; si osservano tendenze, non si possono però stabilire regole, poiché l’insieme delle relazioni tra “impollinatori e impollinati” è naturalmente fluido, in costante cambiamento e procede per tentativi. È l’evoluzione, bellezza!


(Nel prossimo post un excursus tra le principali varietà in coltivazione)

(Parlare di fiori, in giorni come questi, continua ad avere senso? Per me sì, come occasione di conoscenza e dunque come forma di resistenza – ma ovviamente è un’opinione molto di parte: cos’altro potrei fare? Giardinante sono!)

(E mi sembra che abbia più senso che dichiarare arbitrariamente il Pantone 18-2120 Honeysuckle colore dell’anno, promettendo una vita, addirittura un mondo migliori (Courageous. Confident. Vital. A brave new color, for a brave new world. Let the bold spirit of Honeysuckle infuse you, lift you and carry you through the year) e avere pure un seguito di entusiasti che vi adegueranno i propri Wedding Apparel! Paint! Visa Card! Fashion! Home Interiors! Packaging! Insensato anche perché si fanno dichiarazioni errate come questa: In fact, this color, not the sweet fragrance of the flower blossoms for which it was named, is what attracts hummingbirds to nectar. Errata perché pure i colibrì percepiscono i profumi; i caprifogli che li attraggono sono rosso-arancioni; il rosa caprifoglio, nei caprifogli, è accessorio – salvo eccezioni: Lonicera hispidula).


Note:

Si diceva che Lonicera è un genere dalla tassonomia incerta; lo si scopre appena si confrontano i nomi delle specie riportate sulla Flora d’Italia o dall’Usda con gli elenchi di The Plant List (che per altro non ha ancora terminato il lavoro prefissatosi). Anche se tanta sottigliezza botanica è eccessiva in questo blog, riporto qui sotto una tabella comparativa parziale.

Specie rampicanti cinesi:

Lonicera japonica Thunb.
Lonicera acuminata Wallich (Lonicera henryi Hemsl. è un sinonimo di Lonicera acuminata var. acuminata)
Lonicera ferruginea Rehder
Lonicera macrantha (D. Don) Sprengel
Lonicera similis Hemsley
Lonicera confusa DC.
Lonicera hypoglauca Miquel
Lonicera reticulata Champion
Lonicera longiflora (Lindley) DC.
Lonicera hildebrandiana Collett & Hemsley
Lonicera bournei Hemsley
Lonicera subaequalis Rehder
Lonicera yunnanensis Franchet ( non L. ligustrina ssp. yunnanensis sin. L. nitida)
Lonicera tragophylla Hemsley

Tutti classificati come accepted name da The Plant List, tranne Lonicera reticulata, sinonimo di Lonicera rhytidophylla Hand.-Mazz.

Specie rampicanti italiane secondo il Pignatti:

Lonicera implexa Aiton - unresolved name
Lonicera caprifolium L. (Lonicera caprifolia L. secondo The Plant List, e questa accepted name)
Lonicera etrusca Santi – non riportato su The Plant List; presente invece Lonicera hetrusca Host. come unresolved name
Lonicera periclymenum L. - unresolved name (anche L. p Lour. e L. p. Gouan)
 
Specie rampicanti americane secondo l'USDA:

Lonicera albiflora Torr.
Lonicera arizonica Rehder - unresolved name
Lonicera ciliosa (Pursh) Poir. ex DC. - unresolved name
Lonicera dioica L. - unresolved name
Lonicera flava Sims
Lonicera hirsuta Eaton - unresolved name
Lonicera hispidula (Lindl.) Douglas ex Torr. & A. Gray - unresolved name
Lonicera interrupta Benth. - sinonimo di Caprifolium interruptum Greene
Lonicera reticulata Raf. - sinonimo di Lonicera rhytidophylla Hand.-Mazz.
Lonicera sempervirens L.
Lonicera subspicata Hook.

lunedì 21 febbraio 2011

Crocus sieberi atticus "Firefly"

Oggi freddo e nuvole. Ma non eravamo in primavera ancora l'altro giorno? che scherzi sono?


Crocus sieberi atticus "Firefly"

domenica 20 febbraio 2011

Florshow, Florshow


Giovedì visito il Florshow organizzato da PadovaFiere spa presso “l’area di commercializzazione agroalimentare di Veronamercato”; seconda giornata delle tre previste, metà pomeriggio: un centinaio gli espositori, molti meno – in quel momento – i visitatori; ma forse non è l’ora più adatta per gli affari; di certo gli sguardi sembrano distanti, chissà se più per la stanchezza o più per quello stato di sospensione che prende gli standisti quando rimangono in attesa per troppo tempo.

Non è dopo una visita di un paio d’ore che si può giudicare in quale misura l’obiettivo degli organizzatori sarà raggiunto: “Proporre un nuovo modello di manifestazione, che metta al centro la possibilità di stringere relazioni commerciali e chiudere contratti”. (La differenza con i propositi delle altre fiere non appare così evidente, ma tant’è). Comunque ridurre lo spazio dell’esposizione – e i costi – presentando stand di misura minima sembra una scelta vantaggiosa per i partecipanti come per i visitatori: i prodotti esposti sono necessariamente quelli più rappresentativi, ci si identifica con facilità, la lettura è rapida.

Invece la fisionomia della fiera non appare ancora definita; il numero relativamente limitato degli espositori rispetto all’eterogeneità dei settori fa sì che alcuni di questi siano rappresentati da una-due ditte soltanto, tanto da sembrare estranei alla fiera stessa e con scarsa o nessuna possibilità di confronto. Invero si tratta solo della prima edizione del Florshow e anche simili eventi devono dimostrare la propria efficienza prima di trovare un assetto equilibrato con l’arrivo di un numero di espositori adeguato per ogni settore. I vivaisti e i rivenditori sono in maggioranza, ma ancora si incontrano ditte molto specializzate: in trasporti dedicati, in programmazione di software rivolti alla gestione dei vivai, in meccanizzazione dei trapianti, in impianti d’irrigazione…

La fiera è riservata agli operatori del settore, espressione che in questo caso si riferisce a chi coltiva e commercia piante a un livello industriale più che artigianale. Non espongono qui i vivaisti che invece frequentano le varie mostre mercato per appassionati che, scaldandosi l’aria, divengono sempre più fitte sul calendario. Quelli del Florshow non sono prodotti da bottega, dal-produttore-al-consumatore, ma da supermercato, il Garden Center.

Le piante che qui si espongono devono rispettare le regole della grande distribuzione; ogni pianale se non ogni carrello, che è l’unità di vendita, deve contenere esemplari tutti della medesima altezza, della medesima larghezza, del medesimo grado di fioritura. L’uniformità è indispensabile per la comparazione dei prezzi, all’ingrosso quanto al dettaglio. Inoltre l’aspetto della pianta al momento della vendita è decisivo per il successo della medesima: il packaging cura la confezione, la trasportabilità, le proporzioni tra pianta e vaso… L’acquirente non sceglierà quella pianta perché ne è innamorato, perché la sta cercando da anni su tutti i cataloghi, perché è l’unica che gli manca e la comprerebbe anche fosse di quattro sole foglie e con una promessa di fioritura lontana un paio d’anni. La sceglierà solo se è impeccabile e pronta da consumare (quanto può essere difficile nei Garden Center vendere bulbi che fioriranno dopo una stagione!).

Piante-oggetto – non piante-essere-vivente, piante-rarità, piante-frammento-di-storia. Tuttavia il loro acquisto segnala bisogni che credo siano in sostanza molto simili a quelli che muovono gli appassionati più esperti; ciò che cambia è il modo in cui questi bisogni sono espressi e vissuti. L’Ambrogio del Garden Center risponde non tanto alla “voglia di qualcosa di buono” quanto invece a un desiderio più viscerale. Anche se la pianta-snack non saprà soddisfarlo pienamente, possiede tuttavia le qualità di un prodotto accessibile: si trova facilmente, non richiede cure specifiche, se muore può essere sostituita con un’altra identica; non richiede studio o ricerca, mentre è in grado di rendere più accettabile, più familiare o meno ostile il luogo in cui si vive o lavora – non quello dei giorni festivi: l’altro.

“Un chirurgo seppellisce i propri errori; un architetto ci pianta qualche albero davanti”. Siccome di solito manca pure lo spazio per gli alberi, gli abitanti degli errori si arrangiano come possono affidandosi alle “piante da interno” – resistenti, coloratissime, mai profumate (il profumo si espande oltre il confine della scrivania e potrebbe turbare nasi altrui) – sono come le cartoline da luoghi lontani, i salvaschermo con spiagge e palme. E un poco anche marcatori di territorio.

(Precisazione – doverosa se non voglio rischiare di perdere clienti: non credo che gli architetti siano la causa di un malessere curato sintomaticamente dalla pianta-pasticca; piuttosto anch’essi sono presi, con il vivaista, il progettista di giardini e molti altri, nella rete viziosa della mala gestione del paesaggio).

Gli stand mostravano poche novità riguardo alle “piante per ogni occasione”, quelle che si acquistano per gli allestimenti, i matrimoni, le visite, le feste di vario genere (mamma, innamorati, fine d’anno…), mentre, se consideriamo l’insieme degli espositori come rappresentativo del mercato florovivaistico italiano, sono da registrare incrementi di qualità e varietà tra le piante da frutto – dalle fragole ai ribes agli alberi medi e grandi – e tra le piante tappezzanti, sia per sottobosco sia per giardini pensili. Credo siano indicativi di tendenze omologhe alla “riappropriazione di spazi vitali”, in parte fortificate dalle mode giardinistico-paesaggistiche (sì, ci sono pure queste) d’oggi, ma che varrà la pena approfondire presto.

Domanda: vivaista e acquirente, chi si adegua a chi? O entrambi sono sudditi di misteriose “regole di mercato”? Tra chi produce per la grande distribuzione è facile riscontrare una forte refrattarietà per i nomi delle piante: genere, specie, varietà sono mal scritti, storpiati, abbreviati, dimenticati… Un produttore mi racconta che in vivaio coltiva numerose varietà di mirtillo, ma che per la vendita si limita a distinguere tra precoce, medio e tardivo – tanto al cliente il nome esatto non interessa, solo quanti frutti potrà mangiare e quando… Forse non spetta ai vivaisti educare i propri clienti, tuttavia un po’ di attenzione in più credo gioverebbe a tutti. Quel che spiace è il continuo adeguamento verso il basso.

Un’ultima nota su tutto: la qualità è sempre molto alta, si tratti di coltivare Spathiphyllum come Cheiridopsis namaquensis. Il che ci dà consolazione e qualche speranza.

giovedì 17 febbraio 2011

Sarcocca confusa

Questo è un post di giardinaggio.

Doveroso tributo a una pianta meno coltivata di quanto meriti; anche se in queste settimane il suo nome corre per blog e per riviste.

Ho appena aperto la finestra per far rientrare Prospero (il gatto) e, nonostante il freddo e l'ora tarda, i fiori ancora esalano un profumo così intenso da ricordare i gelsomini delle notti estive. L'aria sembra persino tiepida.

Sarcococca confusa

Allora, siccome è un post di giardinaggio, mi adeguo alle rubriche di stagione - prima di tutto, la descrizione. Rapida, così da non perdere tempo con la reiterazione delle medesime notizie. Un respiro fondo e:
 
Generediarbustisempreverdi,coltivatiperilfogliame,ifragrantifioriinvernalieifruttisferici. Ifiorisonominuscoli-l'unicapartevisibilesonoleantere. Utiledarecidereininverno. LepiantediSarcococcaconfusasonodense,cespugliose,alteelarghecircaun metro. Lefogliesonopiccole,ovali,appuntite,lucideeverdescuro. Ifioribianchisonoseguitidafruttineri. Dacoltivareall'ombrasuterrenonontroppoasciutto.

(Liberamente tradotto dalla Gardeners' Encyclopaedia della Royal Horticultural Society, 1989).

Queste le note ufficiali. Ora quelle personali - a passo più lento.
Sarcococca confusa mi pare la specie migliore tra quelle coltivate; S. ruscifolia, più grande e dalle bacche rosse, a confronto mi sembra grossolana, angolosa; S. hookeriana e S. humilis non sono altrettanto profumate (quelle che coltivo non profumano affatto, a dire il vero).

Coltivo le mie piante a nord-est, riparate dai cespugli più grandi; sono sane e prive di esigenze; giovano pacciamature con torba e leggere concimazioni organiche all'inizio dell'inverno, irrigazioni di emergenza nelle settimane più calde. Ho provato a mescolarle con qualche felce rustica e l'effetto mi pare buono, per il contrasto tra le tessiture delle foglie. Si disseminano facilmente, ma la crescita delle plantule è lenta. Piante da sottobosco, ingialliscono al sole; non piantatele però troppo vicine alle radici degli alberi, per evitare una competizione che finirebbero col perdere. Credo che saprebbero risollevare le sorti di molti bui cortili cittadini. Iris foetidissima e Helleborus orientalis sono buoni compagni; le Hosta hanno esigenze simili, ma hanno foglie troppo grandi per convivere facilmente con il portamento espanso della sarcococca.

Sarcococca confusa

martedì 15 febbraio 2011

Giardino di poeta - 15

La semente



scegliere una giornata placida
che non sia né troppo secca né umida
e spargere con eguaglianza la semente
mista a poca terra trita
e poi uguagliare il terreno
perché nasca con perfetta eguaglianza


se dentro non è di bel verde
e fuori non ha il suo grigiazzurro
sarà meglio non seminarlo il seme di lupinella
perché vuol dire che non è ben nutrito e non ha
la sua forma di piccolo arnione

perché intanto nessuno chiama?

nessuno chiama più borgogna o cedrangola
fieno maremmano o lupina selvatica
la lupinella che alligna nelle vaste campagne rugiadose
e cresce anche tra gli scogli
la lupinella bella che dà nutrimento senza gonfiamento
alle pecore anco di pelo finissimo

ma chiama e ti darò notizie del governo che si dimette
della pensione che basta a pagare il telefono e la pigione
le parole però non le conto sul libropaga
e non sono barattiera


non riuscendo la seminagione in primavera
si può ripetere in autunno
e se ne avrà vantaggio
anche nelle regioni meridionali
del cuore enciampigliato
avvezzato a parlare a sé medesmo
rispondendo agli altri



pesante anzi che leggera
è la semente di buona qualità
bruna e gialloscura
con i suoi grani figurati in argnone
che schiacciati mostrano il germe umido e polposo
le sono contrari i terreni cretosi
perché l'erba medica si dilata assai con le sue radici

ma ricordarsi di separare i semi nocivi
del gringo e del grongo



l'ultimo taglio che si fa
conviene darlo ai bestiami
soprattutto se la giornata è nuvolosa
e dove si usi la vanga
conviene tenerla ritta
perché approfondi di più
nel giorno amaro o nel mare di delizie

quante precauzioni


il fieno poi riesce molto bene
ma conviene di non lasciarlo troppo essiccare
onde non si stacchino le foglie
che sono nutricanti
e al mattino bisogna girarlo e rigirarlo
perché scarichi il calore che da sé
nella notte prese

e andò per campagne trifogliate
godendo del suo camminare
poi che odia la crociera e non ama viaggiare in pullman


Jolanda Insana, L'occhio dormiente, poesie 1987-1994.

lunedì 14 febbraio 2011

«Non la distruggerò per riguardo a quei dieci»

Dieci Lettori, in questo caso.


(Tanto per fare un paragone basso).


E allora:
Alacres itaque et erecti quocumque res tulerit intrepido gradu properemus, emetiamur quascumque terras: nullum inueniri exilium intra mundum potest; nihil enim quod intra mundum est alienum homini est.
(Quasi).

domenica 13 febbraio 2011

La necessità della Rosa - Rosa "Honorine de Brabant"

Allora torno alla scrittura, caldeggiato dalle rose giù in giardino; che però sembrano mosse più da preoccupazioni per la propria salute che da riguardi verso chi mi legge. Credo proprio che non abbiano gradito le ultime potature - almeno a giudicare dal numero di spine che mi hanno lasciato sulle mani.

Rosa "Honorine de Brabant"

E di rose, di potature e forse di spine si parla oggi. Ma soprattutto di Rosa "Honorine de Brabant".
Che appartiene al gruppo delle Bourbon, nato nella prima metà dell'800, gruppo di cui ogni appassionato di rose antiche conosce la storia, riportata più o meno con gli stessi particolari su molte pagine web o cartacee - naturalmente senza che mai si facciano riferimenti almeno alle fonti, se non ai documenti originali, tanto che il resoconto tende a sfumare in leggenda; e allora, per non mettermi nelle fila dei "traduttori dei traduttor d'Omero" preferisco riportare la bella favola raccontata da Vita Sackville West:
"Se avete una natura romantica, tutte le rose vi devono sembrare piene di poesia, e se una rosa ha avuto origine su di un'isola, la poesia deve essere doppia, dato che un'isola è di per se stessa romantica.
L'isola a cui mi riferisco è al largo della costa africana sud-orientale, vicino alle Mauritius. Era chiamata un tempo isola Bourbon, oggi la chiamano Reunion. Gli abitanti di questa piccola isola avevano l'abitudine di usare le rose come siepi; ma solo di due tipi, la Rosa damascena e la Rosa cinese. Le due rose si sposarono in segreto; ed un giorno, nel 1817, il direttore del giardino botanico dell'isola di Bourbon notò una piantina che trapiantò e fece crescere, un solitario piccolo bastardo che ha fatto da padre o da madre all'intera razza chiamata ora rose Bourbon."

Vita Sackville West, Del giardino, Milano, 1975. (Antologia postuma di articoli usciti sull'Observer tra il 1947 e il 1961).

Rosa "Honorine de Brabant"

Il racconto della S. W. dà evidenza all'origine spuria di un casato - glorioso! - i cui discendenti mostrano in effetti una notevole disomogeneità, dal momento che alcune Bourbon somigliano più alla rosa cinese, altre più alla rosa damascena, due specie che tra loro differiscono di molti gradi nel portamento come nell'aspetto di foglie e fiori - e spine! Disomogeneità che successivi incroci contribuiscono ad aumentare.

Acquistai il mio esemplare di Rosa "Honorine de Brabant" nel 1999, al Mini-Arboretum, attratto dalla descrizione letta sul catalogo del vivaio (catalogo che conservo religiosamente): "Fiore rosa lilla con strisce e macchie mauve e cremisi, doppio, profumato di fragola". Fragola! Già coltivavo rose dai sentori di tè, mirra, spezie... ma ancora nessuna ricordava qualche frutto in modo specifico; inoltre lo stile asciutto adottato da Guido Piacenza nel raccontare le "figlie predilette" faceva risaltare ancora di più il paragone con la fragola, sì spesso rappresentata come frutto del Paradiso, ma pure portatrice di sensualità - almeno da Hyeronimus Bosch in poi.


Pochi anni dopo l'acquisto cambiai casa, portando con me una parte del giardino; tolta dal terreno, "Honorine de Brabant" rimase in vaso per un paio di stagioni prima di trovare una collocazione definitiva; forse per l'esaurimento dovuto ai trapianti, forse per la competizione con i cespugli vicini nel nuovo giardino sovraffollato, non ha ancora ripreso a crescere con la vitalità che aveva mostrato all'inizio. Tuttavia è sana e fiorifera come assicurano i sacri testi; non a fioritura continua ma rifiorente, più generosa in maggio, più colorata in settembre.

"Honorine de Brabant" è una varietà dai caratteri cinesi, più che damasceni; i fiori, non grandi, in boccio sono globosi, aperti formano una coppa; i petali sono sottili quasi come in "Souvenir de la Malmaison" e quasi altrettanto soffrono il caldo o le piogge in eccesso; le foglie sono lucide, un poco allungate, acute, belle a vedersi; la pianta ha portamento eretto, con branche che in alto tendono a moltiplicare le ramificazioni, quasi senza lasciare gemme dormienti; se gli esemplari più robusti producono rami di media lunghezza che tendono a curvarsi sotto il peso dei fiori, tutti hanno la capacità di portare fiori fin sui rami più sottili - anche questo un carattere "cinese". Una piacevolissima sorpresa sulla pianta adulta - poiché non descritti in alcuno dei cataloghi o testi che finora ho consultato - sono stati i cinorrodi: rosso geranio, numerosi, resistono per tutto l'inverno nonostante il gelo e il vento secco.

Rosa "Honorine de Brabant"

A differenza della gallica "Rosa Mundi", i cui fiori sono frammentati in bianco avorio e magenta senza indecisoni, i petali di "H. de B." mostrano picchiettature e pennellate in vari toni intensi su uno sfondo soffuso di lilla, che, sulla pagina inferiore, ben in vista per la forma raccolta del fiore, si smorzano in un eco cromatico. In giardino allora, come capita talvolta anche altrove per i "bastardi", possiede la capacità di legare i colori accesi e contrastanti di altre rose o delle peonie a cui si accompagna, temperandone l'effetto. 

Rosa "Honorine de Brabant"

(La poto appena, spuntando i rami fioriti l'anno prima o eliminando alla base quelli più vecchi; le spine sono poche, ma robuste e ricurve; le si dimentica mentre si governa la pianta - almeno finché non si ritira distrattamente la mano con un gesto troppo brusco...).

venerdì 11 febbraio 2011

Sondaggio

Torno a scrivere articoli sul blog o proseguo con la potatura delle rose?

venerdì 4 febbraio 2011

La necessità della Rosa - Carnevalata

Non è che il giardino al momento non offra nulla; ci sono gli ellebori fioriti o pronti a farlo; si sentono i profumi della Lonicera fragrantissima e delle sarcococche; le maonie sono in fiore da settimane e, nella serra fredda, sono sbocciate le prime viole doppie… Tuttavia sento il bisogno di piatti più sostanziosi, di un’abbuffata di rose magari, e le immagini del giardino primaverile che uso come salvaschermo ora sono quasi un supplizio di Tantalo. “Quasi” perché ricordare il piacere passato (che diceva il buon Giacomo?) in questo caso diviene anticipazione di quello prossimo, confidando nella ricomparsa di nuovi fiori e nuove foglie e nuovi frutti (non per la ciclicità delle stagioni, a quella non si può più credere dopo la comparsa dell’Entropia, dea crudele, ma solo perché le piante fuori in giardino sono ancora giovani e poi insomma catastrofi repentine non se ne prevedono). E il soffermarsi a ricordare è pure l’occasione per cercare altre notizie su quel che si coltiva: storia, origini, cure necessarie… mi pare che la conoscenza aumenti il piacere. E poi dicono vi sia anche il piacere della conoscenza. Se così, ben venga.

Rosa "Honorine de Brabant"

In un angolo del giardino mi cresce, sano ma non floridissimo (a causa della competizione con i cespugli vicini, troppo fitti per l’ostinazione a non rinunciare a nulla, propria del giardinante), un esemplare di Rosa “Honorine de Brabant” i cui cinorrodi, a differenza di quelli di molte altre varietà, rovinati dal freddo, sono ancora di un bel rosso brillante, capace di consolare anche nelle giornate brumose. Sfogliando varie pagine sulla Rete trovo però poco o nulla in proposito nelle descrizioni pubblicate, che invece spesso riportano solo commenti che parafrasano il giudizio che ne dà Peter Beales in Classic Roses (di solito senza citare la fonte, beninteso): "This is one of the most acceptable striped roses." E poco più. Delusione da piaceri mancati. Sono allora subito tentato di illuminare il mondo con una descrizione più articolata di questa rosa, una descrizione così seducente da far crescere la stima generale e moltiplicare le vendite. Ma freno l’abbrivio per soffermarmi sul termine “acceptable”. Perché una rosa variegata può essere solo più o meno “accettabile” e non “affascinate” o “valida” o “eccezionale”… come altrimenti lo stesso Beales definisce molte varietà non migliori della “H. de B.”?
Ovvero, perché si associa la variegatura dei fiori a qualcosa di negativo, o per lo meno a un alone di cattivo gusto?

Matthiola incana

In un noto passo del Winter’s Tale (no, non di Freddie: di William), Polissene, re di Boemia, conversa con Perdita per saggiarne la virtù, poiché la pastorella, che solo poi si scoprirà essere figlia del re di Sicilia, è innamorata, ricambiata, di Florizel, figlio dello stesso Polissene; è un dialogo sull’amore, il matrimonio, il sesso e le differenze sociali che si sviluppa attraverso una serie di metafore floreali.

[…]
PERDITA
Sir, the year growing ancient,
Not yet on summer's death, nor on the birth
Of trembling winter, the fairest
flowers o' the season
Are our carnations and streak'd gillyvors,
Which some call nature's bastards: of that kind
Our rustic garden's barren; and I care not
To get slips of them. *
[…]

William Shakespeare, The Winter’s Tale, Atto 4, scena VI. 

(E va bene: noto tra chi si occupa di storia dei giardini – o di letteratura elisabettiana).

Perdita disdegna i garofani e le violacciocche variegate; così facendo dichiara in una sola volta di possedere onestà, modestia e temperanza. Carnations e gillyvors erano fiori molto apprezzati e diffusi nei giardini (testimone John Parkinson, Paradisi in Sole Paradisus Terrestris, 1629), ma le varietà più rare si trovavano solo in quelli delle classi agiate, alla cui ammissione Perdita afferma dunque di non aspirare. Alle violacciocche poi erano riconosciute varie proprietà medicinali, tra cui la capacità di accendere il desiderio – e poteva forse una fanciulla associarsi alla lussuria? La screziatura inoltre era accostata all’imbellettamento, quando il trucco pesante caratterizzava le prostitute. Le fondamenta delle implicite dichiarazioni di Perdita sono riassunte in pochi versi: “Perché m’han detto che la screziatura/ che varia il lor colore è un artificio/ che usurpa la potenza creatrice/ della grande Natura” (mentre la ragazza non desidera turbare alcun ordine: né sociale né naturale).
È dunque ripresa la dicotomia Arte / Natura che attraversa tutta la cultura rinascimentale – sebbene qui la contrapposizione compaia come pretesto piuttosto che come vero argomento. Tuttavia il rifiuto della screziatura riflette una concezione del mondo che ha radici ancora più lontane - vedremo alla fine.

Rosa gallica "Versicolor"

Nel 1176 muore nel convento di Gostow, presso Oxford, Rosamund Clifford, amante di Re Enrico II d’Inghilterra; il re e la famiglia Clifford dispongono affinché Rosamund sia sepolta nella chiesa del convento; la sua tomba diviene luogo di venerazione frequentato dal popolo, fino a suscitare lo scandalo del Vescovo Hugh di Lincoln, che, nel 1191, due anni dopo la morte del re, ordina che le spoglie della “prostituta” (harlot) siano rimosse. Nel 1599, quando, dopo la Dissoluzione dei Monasteri ordinata da Re Enrico VIII, visita il cimitero in rovina, l’erudito tedesco Paul Hentzner legge in fondo all’iscrizione sulla lapide di Rosamund un epitaffio in latino:

HIC JACET IN TUMBA ROSA MUNDI NON ROSA MUNDA
NON REDOLET SED OLET QUAE REDOLERE SOLET

Qui giace nella tomba la rosa mondana, non la rosa pura.
Colei che è solita profumare, non profuma, ma puzza.
(Cruda la traduzione – crudele l’iscrizione).

Ma ormai The Fair Rosamund è da tempo divenuta figura leggendaria (tant’è che gli elisabettiani Thomas Deloney e Samuel Daniel compongono rispettivamente The Ballad of Fair Rosamund e The Complaint of Rosamund, di cui è facile pensare che Shakespeare fosse a conoscenza). Si racconta che per proteggerla il re avesse fatto realizzare intorno al Casino di Caccia di Woodstock, dove allora dimorava, un labirinto (il Rosamund's Bower); che fosse uccisa col veleno per ordine della Regina Eleonora d’Aquitania, sposa di Re Enrico; che sulla tomba di lei – giovane, bella, aggraziata – spuntasse un cespuglio di rose, dai cui rami, se spezzati, stillava sangue. Questa rosa sarà individuata in quella che oggi noi conosciamo come Rosa gallica “Versicolor” o, per l’appunto, “Rosa Mundi”. Ovvero mentre Perdita rifiuta le streak'd gillyvors e conserva l’onore, a Rosamund, che l’onore perde, è associata una rosa dai petali screziati.
E siamo daccapo.

(Ovviamente ai Preraffaelliti la vicenda piace molto e i ritratti immaginari di Fair Rosamund sono numerosi; tuttavia se le rose compaiono spesso, nessuna è “Rosa Mundi”: solo Dante Gabriele Rossetti dipinge una rosa - mi pare - gallica tra i capelli dell’eroina, ma si tratta di una varietà differente.)
 
Nel Medioevo, nota Michel Pastoreau**, “sono considerati colori veri (colores pleni) solo quelli squillanti, brillanti, saturi, resistenti […]”. Inoltre “i valori accordati a questo o a quel colore, […] dipendono innanzitutto da considerazioni morali, religiose o sociali. Il bello è quasi sempre il conveniente, il temperante e il consueto”. Ecco dunque l’apprezzamento per colori che ancora oggi definiamo sobri – il nero, il bruno, il blu, contrapposti ad altri, come il giallo o il verde, ritenuti non decorosi. Tuttavia l’occhio medievale è ancor più disturbato dal variopinto (varius), ovvero dalla giustapposizione (distinta dalla sovrapposizione, che è accettata) di due o più colori, come avviene al massimo grado per le stoffe a righe o a scacchi. Nella sovrapposizione è ancora leggibile un ordine, mentre la varietas corrisponde all’anarchia, all’ambiguità, tanto che agli individui ai margini o fuori della società è imposto un vestito appariscente, multicolore: variegatus. Streak'd.
Stoffe rigate devono indossare perciò saltimbanchi, buffoni, lebbrosi, bastardi, servi, boia, condannati, infermi, zingari, eretici. E prostitute.

La varietas diviene uno degli attributi di Satana, primo pervertitore dell’ordine naturale ossia divino. Così Dante, appena arrivato nel Cielo della Luna, si preoccupa di chiedere a Beatrice:

Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo, che là giuso in terra
fan di Cain favoleggiare altrui?

Paradiso, II, 49-51.

Le macchie lunari (in cui si riconosceva la figura di Caino reggente un fascio di spine) appaiono come un’imperfezione in qualcosa creato da Dio, qualcosa che dovrebbe essere invece perfetto, perché non toccato dal Peccato Originale. La risposta di Beatrice occupa il resto del canto – un centinaio di versi; riassumendo brutalmente, si potrebbe dire che la luminosità più o meno intensa della superficie lunare è dovuta alla maggiore o minore intensità con cui la sua materia è influenzata dalle intelligenze angeliche, strumenti della virtù divina. Derivato da idee platoniche e aristoteliche, il concetto dell’emanazione divina è lungamente e diversamente elaborato per tutto il Medioevo, e per questo potrebbe ben aver permeato anche la mentalità del popolo che non si occupava di metafisica. E proprio attraverso le consuetudini certe preferenze di gusto sarebbero approdate ai nostri tempi, quando le righe e gli scacchi sono concessi talvolta agli artisti – ma solo perché ricoprono un ruolo. Freddie lo sapeva.


(E il Carnevale, che c'entra? è il ribaltamento - rituale - dell'ordine, e poi, sceso dal palcoscenico, è facile incontrare Arlecchino, un altro che di stoffe variegate e di diavoli ne sa molto).


*
PERDITA - In verità, signore,
i fiori di stagione più vistosi,
coll’invecchiar dell’anno,
quando l’estate non è ancora morta,
né ancora nato il tremolante inverno,
son i garofani e le violacciocche,
che chiamano “bastardi di natura”;
però il seme di quelle varietà
non cresce al nostro rustico giardino,
né m’interessa farcene trapianto.


Traduzione di Goffredo Raponi.

**
Michel Pastoreau, Medioevo simbolico, Bari, 2010.
Michel Pastoreau, La stoffa del diavolo, Genova, 1993.