NO, NON È UN BLOG DI GIARDINAGGIO
MA POTRESTE TROVARE QUEL CHE NON STATE CERCANDO


domenica 27 giugno 2010

Un'altra Nota del Guanciale?


Trascorsi mille anni, la corte dell'Imperatrice Sadako si è riunita nuovamente ieri sera, per conversare sul terrapieno di un vecchio giardino, incarnandosi in una compagnia di gentili dame e spiritosi giovanotti (e viceversa: nel crepuscolo poco si distingueva chi fosse spiritoso da chi fosse gentile).

Sorta dietro le colline, la luna appariva e spariva nelle nuvole, trascolorando, mentre saliva, dal rosa dell'alba a un bianco ancora caldo. E quando giungeva al culmine, mentre passava sopra la città e il fiume, spontaneamente i gruppi sparsi di ospiti si riunivano e le sedie venivano disposte in file ordinate per osservare il trionfo dell'astro - e le voci si facevano più basse. Che importa se la musica non proveniva da flauto, koto o biwa, ma dalla memoria degli iPod?


Se vi piace, leggete qui:
Sei Shōnagon, Note del guanciale (Makura no soshi), a cura di Lydia Origlia, 2002, Milano.
e qui:
Dino Buzzati, Stralcio dell'articolo «Non deluderci, Luna», pubblicato sul «Corriere della Sera», 17 luglio 1969, IlSole24ore, domenica 27 giugno 2010, anno 146, numero 175.

In apertura, di Katsushika Hokusai, Il poeta Abe no Nakamaro contempla la luna da una terrazza, in Hokusai, a cura di Matthi Forrer, Verona, 2001.

sabato 26 giugno 2010

Giardino di Poeta - 01

Con la bellezza del giardino la poesia italiana del secolo XX ha un rapporto difficile. Lo scopro appunto ragionando sulla storia moderna dei giardini con un'amica dottissima, che mi fa notare, inoltre, quanto a lungo, nel nostro Paese, occuparsi di paesaggio sia stata considerata un'attività poco degna di ogni serio accademico dell'arte o dell'architettura. Le conseguenze sono state (e sono tuttora) molte e tutte perniciose - troppe per parlarne qui; ma la poesia in qualche modo riflette le origini di questo disinteresse, manifestando forte disagio anche nelle rare volte in cui si avvicina a un giardino - o a una pianta. L'argomento non solo mi sta a cuore, ma è pure lo spunto per esplorare l'opera di autori la cui lettura mi dà sempre molto piacere; piacere che cercherò di condividere, iniziando a trascrivere, oggi plenilunio di giugno, alcune delle poesie che meglio mi sembrano illustrare il conflitto - o che molto arbitrariamente ritengo più belle...

Intanto, cinque versi di Toti Scialoja per liberarci "dalla soggezione al linguaggio" e aiutarci a creare "paesaggi di parole", il che male mai non fa.

Chiede il bombo: "Perché ronzo?
Perché vado sempre a zonzo
come un gonzo, senza meta?
Perché peso come il piombo
sopra il fiore che si piega?"


dalla raccolta Amato topino caro (1961-1969).
Toti Scialoja, Versi del senso perso, Torino, 2009.

Lavandula

giovedì 24 giugno 2010

La Strega della Stevia e la conserva di rose - Favola - Paesaggi da Mangiare 02

Fu in un vecchio giardino, piantato forse da tre generazioni, un poco trascurato e un poco inselvatichito, che conobbi, il sesto giorno dopo il plenilunio di primavera, la Strega della Stevia*. Luogo d'incontro non dovuto al caso, come si potrebbe credere, poiché ella predilige le buone erbe coltivate e le buone erbe selvatiche - e le une e le altre là crescevano abbondanti. 

Perché la Strega non mira alla bellezza, ma alla bontà - alimentare, e il fiore da ammirare non la interessa, se della pianta può usare la radice o la foglia o il germoglio. O il fiore stesso (fiori di zucca fritti impanati). In una siepe cercate il profumo della madreselva? Lei il sapore del luppolo. In un prato raccogliete l'oro dei ranuncoli? Lei il tenero della silene e del papavero. Voi acquistate in primavera gerani, petunie, verbene o tagete? Lei neppure li considera, e invece nel proprio rifugio coltiva un così gran numero di varietà saporite che mai direste vi potrebbero trovar luogo, tanto è ricco il pur piccolo spazio.

(Ma che sia perché è destinato agli iniziati che lo si raggiunge solo dopo aver superato la prova di molte - molte! si moltiplicano anche queste come vegetali, sotto i passi degli ospiti - rampe di scale perigliose?)

Qui la Strega coltiva e raccoglie e poi essica trita distilla macera infonde estrae - liquidi densi o leggeri oppure polveri finissime, capaci di portentose metamorfosi culinarie, la cui efficacia si dimostra, all'occorrenza, con la trasformazione, per un'intera notte e senza che ne sappiano o ne patiscano, di un branco d'affamati carnivori in sazi vegetariani riuniti intorno a un'alta collina di cuscus dorato...

Ma forse il maggiore incantamento, e il più sottile, che riverbera ovunque dalla ricchezza e dalla generosità (e dall'ordine) delle coltivazioni e della mensa, è la bellezza, non perseguita eppure presente. Bellezza attraverso il gusto e l'odorato più che la vista, se volete: comunque bellezza. E forse, che questo avvenga e come, neanche la Strega lo sa.

Marmellata di rose

Piante ornamentali - piante produttive. Mi chiedo se sia questa distinzione ad aver partorito certi giardinetti d'oggi, fatti di masse di colori squillanti, senza odore né sapore. Senza forma né storia né molto altro ancora, a dire il vero. Produttività e ornamentalità hanno convissuto a lungo nei giardini. e talvolta nella medesima pianta. Certo, nei giardini più nobili erano piante altrettanto nobili a essere coltivate, per raccolti di pregio, come accadeva con gli agrumi o, un gradino subito sotto, con le rose, dai cui fiori si ricavavano l'olio di rose, il miele o il vino rosato**.

Una diversa genealogia sostiene invece la ricetta della Conserva di Rose di Pellegrino Artusi, la n° 745 del suo La Scienza in Cucina e l'Arte di Mangiar Bene***: di petali e zucchero soltanto, pare profumo solidificato, e credo abbia i propri antenati negli elettuari medievali, miscele di semplici diversi impastati con sciroppo di zucchero o miele, che, da preparati farmaceutici (lassativi! ma non solo) divennero composte dolci e speziate da servire alle mense più raffinate****.
  
Allora, per concludere il racconto, in luogo del "e vissero tutti felici e contenti" - ma in compagnia della strega, questa volta - tre settimane fa ci cimentammo nella preparazione dell'artusiana n° 745*****, che ora, debitamente riposata, porteremo in omaggio alla nostra Strega particolarissima - e sono certo che poi le rose cominceranno a fiorire anche nel suo giardino.


* La Strega della Stevia ha questo nome da quando mi ha costretto a coltivare per l'appunto alcune piante di Stevia rebaudiana, specie sudamericana delle Asteracee dalle grandi capacità dolcificanti - ma questa è un'altra storia...

** Si legga ad esempio quel che sulle rose racconta Agostino Gallo ne Le Vinti Giornate dell'Agricoltura, Venezia, 1572.

*** Pellegrino Artusi, La Scienza in Cucina e l'Arte di Mangiar Bene, Torino, 1970.

**** Paul Freedman, Il Gusto delle Spezie nel Medioevo, Bologna, 2009.

***** Con alcune modifiche: abbiamo aumentato i petali del 50% rispetto allo zucchero e abbiamo aggiunto alle rose centifolie e di Damasco una parte di "Guinée" e di "Souvenir du D. Jamain", entrambe rosso scuro e profumatissime, come coloranti al posto del Breton suggerito dall'Artusi.

domenica 20 giugno 2010

Solstizio, solstizio d'estate!

Accendete i fuochi nei campi, bagnatevi con la rugiada notturna, raccogliete le erbe benefiche che scacciano i demoni, perché, come scrive Maurizio Pollini: "Il futuro del nostro Paese è un enorme punto interrogativo. Siamo alla contrapposizione tra chi vuole impadronirsi del potere assoluto e chi resiste".* 

Hypericum perforatum

Sopra, Hypericum perforatum o Cacciadiavoli, una delle erbe di San Giovanni (e beato chi questa notte potrà raccoglierlo senza inzupparsi di pioggia).

Sul solstizio d'estate, l'iperico e le altre piante apotropaiche (ruta basilico aglio corbezzolo artemisia lavanda mentuccia...) leggete qui: Costanza Cossu, L'iperico scaccia via i demoni e i cattivi pensieri.
Oppure andate a rileggervi Alfredo Cattabiani, Florario - Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Milano, 1996.


* Maurizio Pollini, Schumann, genio sensuale, Il Sole 24 Ore, 20 giugno 2010, anno 146, n. 168, pag. 35, testo raccolto da Carla Moreni.

sabato 19 giugno 2010

Spirito italico

Lavandula

Il muro a secco, gli ulivi, il campo dall'aspetto curato senza ossessioni per l'ordine, il pensiero gentile della lavanda - e la rete! Perché mai? La recinzione parla un linguaggio del tutto diverso dal paesaggio che racchiude: respinge, non solo fisicamente.

Strana gente.

Lavandula

(Il muro di vecchie pietre era comunque sufficientemente alto da dissuadere eventuali visitatori - mentre la rete era persino inclinata verso l'esterno, per rendere più difficoltoso l'accesso... a chi? ai ladri di olive o di lavanda? ma i ladri di paesaggio, cosa li terrà lontani?)

lunedì 14 giugno 2010

Diurno e notturno (e dandy anzichenò)

Fatti, lento pede, cento passi tra le piante, torno alla scrivania solo per raccontarvi di come, a consacrare i giorni solstiziali, il giardino indossi un bouquet nuovo, dai tratti maschili: odora di lavanda, rinfrescata dalla menta, e di salvia moscata, addolcita dalla camomilla; sul fondo, le ultime rose di Damasco, quasi fané, e il pungente del finocchietto selvatico; forse dell'issopo. Il calore dell'ora li fa più intensi. Qualcosa rimane anche sui vestiti. E sulle mani, dopo aver raccolto e stropicciato, separatamente prima e poi insieme, foglie e fiori per ricordarli e imparare a distinguerli. Un'analisi che accentua il piacere.

Ma questa notte sarà diverso: altri profumi, forse più femminili, e che non si mescolano tra loro; si potrebbe attraversare il giardino al buio guidati solo dall'olfatto: qui, il gelsomino officinale e i primi sambac; là, dietro i cespugli più alti, i gigli, che fanno l'aria densa; mentre, sottile e leggero, arriva ovunque il sentore del caprifoglio, fiore che piace alle sfingi; così come piace la nicoziana dal calice lungo e stretto, il cui richiamo odoroso si avverte da lontano, a squilli. In attesa del Cestrum nocturnum, pianta sovrana delle notti di mezza estate. In compagnia della Brugmansia, certo.

Invece sto mentendo e spudoratamente; tutto questo lo percepisco solo con la memoria.
Intendiamoci, quelle piante crescono davvero nel giardino di casa; ma il loro profumo è soffocato dalla coperta greve, dolciastra e sebacea dell'odore diffuso dai fiori del falso (falsissimo!) gelsomino che arriva da ogni direzione, e da sotto e da sopra. Non c'è giardinetto nei dintorni in cui non manchi. Mala tempora currunt, se non separiamo più i nostri desideri dalle mode persino quando andiamo dal vivaista.

(Vorreste vedere almeno le foto di quei fiori? Questa volta no: non profumano, le foto - che ne fareste? È un'esperienza che chiede coinvolgimento diretto - anche perché per interposto olfatto non è possibile. Piuttosto, vi invito a cercarli: a naso, ovviamente...
Oppure potreste venire a trovarmi. A trovarli. Io li ho solo piantati.)

Ecco l'elenco dei nomi latini, in ordine di apparizione: Lavandula vera e Lavandula spica; Mentha spicata; Salvia sclarea var. turkestanica; Matricaria recutita; Rosa damascena (R. d. "M.me Hardy", in questo caso); Foeniculum vulgare; Hyssopus officinalis; Jasminum officinale, noto nella Classicità e poi reimportato in Europa dagli Arabi; Jasminum sambac; Lilium regale, che preferisco, ma pure Lilium candidum, fiore mediterraneo tra i più anticamente coltivati; Lonicera perclymenum "Serotina", così come Lonicera caprifolium e altre; Nicotiana alata "Fragrant Cloud", da semi acquistati vent'anni fa da Thompson & Morgan e  inselvatichita. 
L'untore del morbo odorifero è Trachelospermum jasminioides, venduto più spesso col nome di Rhyncospermum. Anzi, insisto: venduto troppo spesso...

domenica 6 giugno 2010

Lindenduft

Ieri sera, sopra l'acre dell'aria inquinata, sopra i rumori sordi della città, nonostante l'incuria degli insipienti cui sopravvivono, i tigli generosi spandevano profumo nelle piazze e per le strade, quasi avessero intenti concordi; che il passante li nomini accade di rado, eppure sembrano sommare, al piacere che viene da un luogo, da una compagnia amati da tempo, l'aspettativa di piaceri da ritrovare o il sopirsi delle ansie per il nuovo giorno nella gioia del momento.

Forse perché annunciano l'estate? O la tiliacina, blando sedativo, ci avvolge in nubi un poco drogate...

A me che, per età, le prime volte in cui assaporai un piacere non sono più così vicine, ricordano l'occasione in cui un caro amico, saranno vent'anni, fece ascoltare il secondo dei Rückert-Lieder di Gustav Mahler, cantato dal contralto inglese Kathleen Ferrier. Naturalmente, un ricordo profumato di tiglio, con un non so che di amarognolo. Ecco il testo, e poi il link alla registrazione del lied.

Ich atmet' einen linden Duft!
Im Zimmer stand
Ein Zweig der Linde,
Ein Angebinde
Von lieber Hand.
Wie lieblich war der Lindenduft!

Wie lieblich ist der Lindenduft!
Das Lindenreis
Brachst du gelinde!
Ich atme leis
Im Duft der Linde
Der Liebe linden Duft. *

Kathleen Ferrier
Wiener Philarmoniker
Bruno Walter
registrato 14-20 febbraio 1952



* Azzardo una traduzione:

Respiravo una soave fragranza!
Era nella stanza
Un rametto di tiglio,
Dono
Di una mano amata.
Com'era amabile il profumo del tiglio!

Com'è amabile il profumo del tiglio!
Il ramoscello di tiglio
Hai colto gentilmente!
Aspiro dolcemente
Il profumo del tiglio
Il soave profumo dell'amore.

giovedì 3 giugno 2010

Sciauro di vircoca - Paesaggi da Mangiare 01

Prunus armeniaca (vircoca)

Le piante non solo si muovono, ma viaggiano pure. Facendosi trasportare, certo: vento, acqua e poi animali con gambe ali o mezzi meccanici. L'albicocco proviene dalla Cina settentrionale, là coltivato da almeno cinquemila anni; durante il viaggio verso occidente sosta nelle regioni del Caucaso - in Armenia, pare. Giunge poi in Grecia, forse accompagnato da Alessandro il Grande. A Roma Plinio il Vecchio ne parla (o comunque questo è ciò che da sempre si attribuisce al suo scritto) come mala praecocia, dai cui più tardi l'arabo al-barqūq. Con gli Arabi il frutto torna in Italia, attraverso la Sicilia, e in Europa: albicocca, albaricoquero, abricot, apricot, aprikose...*

La settimana scorsa da Catania mi portano un cesto di albicocche; goloso come un ragazzino ne prendo subito una e la apro con le dita in due valve per togliere il nocciolo e mangiarla - ma, senza averla ancora portata alla bocca, ne sento già il profumo, e in quel momento mi rendo conto che sarà la prima albicocca di quest'anno. E che è iniziata l'estate. Non l'estate astronomica e magari neppure quella meteorologica. Ma la mia stagione, sì.
  
La Sicilia o l'ombelico del tempo. Prima o poi mi trasferirò là. Oppure continuerò a immaginarla da qui, ancora abitata dagli dei e da gente bellissima.

Vado a mangiarmi un'altra albicocca.



* Ma la presunta origine armena lascia traccia nel nome scientifico Prunus armeniaca e nel vernacolo armelin, armognan eccetera eccetera.

** Ho imparato l'espressione sciauro di vircoca da Andrea Camilleri in La Caccia al Tesoro - ma là si parla d'altro. O forse no.

Vircocu