NO, NON È UN BLOG DI GIARDINAGGIO
MA POTRESTE TROVARE QUEL CHE NON STATE CERCANDO


domenica 29 agosto 2010

La Stevia della Strega - Paesaggi da Mangiare (?) 05

Alla sommità dei fusti, i tre esemplari di Stevia rebaudiana regalatimi dalla Strega cominciano a sviluppare le infiorescenze. Comunque sono sicuro che resteranno assai brutti anche coperti di fiori. Ma in effetti Stevia non è specie da giardino: gli scopi per cui la si coltiva sono ben altri: li ho imparati ascoltando la Strega e leggendo qui accanto.

Stevia rebaudiana

Di mio vorrei solo aggiungere qualche considerazione e una domanda.

Delle varie specie di piante che mi crescono tra terrazzo e giardino, forse solo Salvia guaranitica e le Brugmansia sono più esigenti d'acqua di Stevia rebaudiana. Nelle giornate più calde devo irrigare almeno una volta al mattino e una alla sera per non vederne le cime ripiegate e le foglie flosce. Se poi il tempo è ventoso, un'aggiunta d'acqua nel sottovaso non deve mancare. Ma un trapianto in vasi più grandi non sarebbe d'aiuto, poiché Stevia non ama i ristagni d'acqua e ha radici superficiali.

Finora non ho trovato dati raccolti scientificamente sulla coltivazione in pieno campo a scopo produttivo di Stevia rebaudiana; in generale sono però raccomandate irrigazioni frequenti e leggere, non diversamente da quanto devo fare con i mei tre esemplari.

Stevia rebaudiana è originaria di aree con clima da sub-tropicale a tropicale (Paraguay, Bolivia) caratterizzate da temperature miti così come da stagioni invernali fresche, durante le quali la pianta va in riposo; ma per ottenere un numero di raccolti economicamente vantaggioso, ovvero quattro in un anno, uno ogni 90 giorni, le coltivazioni si spostano nelle regioni più calde, anche se più aride, dove si prevede di supplire alla mancanza di pioggia con l'irrigazione.

Ora, irrigazioni frequenti e superficiali, a causa delle perdite dovute sia alla percolazione sia all'evaporazione, comportano un maggiore consumo d'acqua rispetto a irrigazioni più abbondanti ma meno frequenti.

Coltivare Stevia per estrarre principi utili nel trattamento di varie patologie potrebbe giustificare questo e altro; mi chiedo però se non sia perverso sottrarre risorse idriche a coltivazioni alimentari, in regioni che già sono carenti e di cibo e di acqua, con il solo scopo di ottenere dolcificanti per bibite gassate light alla moda.

Una risposta potrebbe venire dalla questione, per altro non ancora risolta, riguardante lo stabilimento nel distretto di Jaipur del Rajasthan, in India, di una nota ditta del settore.

giovedì 26 agosto 2010

Seminare ricordi (terza parte) - Paesaggi da Mangiare 04

Ascoltato il racconto dell'intensa esperienza di comunione con il paesaggio fatta da Doña Sol e Der Mann ohne Schatten (qualcosa di differente dal senso del numinoso che pure può sorprendere di fronte alle manifestazioni di grandiosità del Creato - piuttosto la percezione dell'appartenenza a quegli insiemi di relazioni che chiamiamo Natura e Storia), i loro ricordi sono ora in parte i miei - e tutti sono contenuti nella fisionomia della Castilleja, che ne diviene il segno; coltivare questa è trasmettere quelli.

 

 Ed è per tali e tanti motivi che, con una bustina di Bouteloua gracilis nella mano sinistra e una di Castilleja integra nella destra, lo scorso autunno sentivo una forte responsabilità nei confonti dell'universo mondo, consapevole che il trovarmi ad applicare per me medesimo i buoni consigli che di solito elargisco agli altri avrebbe potuto mettermi in una situazione imbarazzante in caso di insuccesso.

Ma fortunatamente la vitalità delle piante deve aver supplito all'imperizia del giardiniere. Ecco come.

Considerando le caratteristiche fisiche del suolo dove Castilleja cresce spontanea, preparo una miscela di terriccio, sabbia e lapillo per assicurare un buon drenaggio e insieme una buona struttura al substrato; come contenitori scelgo delle cassette di 60-70 centimetri, di modo che vi siano almeno 25-30 centimetri di profondità disponibili per le radici. Essendo i semi molto minuti, li distribuisco in superficie, senza fare solchi, dopo aver bagnato leggermente il terriccio; copro con un foglio impermeabile e trasparente per trattenere l'umidità e far passare la luce. Prego gli spiriti zapotechi di vegliare sulla germinazione.

Che avviene rapidamente per Bouteloua - così quasi tutte le piantine muoiono alla prima gelata notturna... In effetti l'autunno mite dell'anno scorso mi aveva fatto sperare in un inverno altrettanto mite: e come no! Ma le Castilleja non temono il freddo, anzi: un periodo di vernalizzazione - scopro più tardi - favorisce la germinazione; che però è molto lenta - inoltre suppongo che prima tendano a sviluppare le radici, dal momento che dal terreno spuntano subito le foglie, senza che si vedano i cotiledoni o un residuo del seme. (Qui sotto, le plantule di Bouteloua).


All'inizio di aprile semino nuovamente le Bouteloua nelle cassette e preparo altri vasetti sia con la graminacea sia con Castilleja (avevo messo da parte metà del contenuto di entrambe le bustine). Risultato: nei vasetti Bouteloua prospera mentre Castilleja stenta (per la mancanza di freddo al momento giusto?); nelle cassette Castilleja cresce rapidamente a scapito di Bouteloua - a dimostrazione dell'avvenuto contatto tra le radici delle due specie. Anzi, Castilleja sorprende con tre-quattro nuove piantine ogni settimana, tante che le cassette sembrano non bastare più; ma non mi azzardo a trapiantarle, poiché la separazione dalle piante ospiti potrebbe farle morire rapidamente.

L'aspetto però non è quello mostrato dalle fotografie prese in natura: il portamento non è eretto né compatto e i fusti tendono a sdraiarsi superata l'altezza di una spanna; inoltre anche la caratteristica peluria appare più rada. Evidentemente i 500 (e 10!) metri s.l.m. che posso loro offrire non sono sufficienti - oppure l'ambiente nel complesso più favorevole rispetto a quello al quale sono si adattate le rammollisce: avete presente la carciofizzazione che subiscono le stelle alpine coltivate in pianura? Intanto arrivano in successione tripidi, acari e larve di lepidotteri a mostrare il loro apprezzamento...

In compenso non devo attendere i tre-quattro anni previsti dagli esperti americani per veder fiorire le Castilleja; in giugno gli apici degli steli cominciano a ingrossarsi, già in luglio la fioritura è sontuosa e ora, quasi in settembre, non accenna a declinare. 



Il che significa che probabilmente le mie piante non vivranno a lungo. Come fare per moltiplicarle - e con loro i ricordi? Dal momento che non posso aspettarmi che qualche colibrì ci raggiunga, mi faccio pronubo e tento l'impollinazione manuale su alcuni fiori. Sembra che abbia funzionato e ora, dopo un mese, alcune capsule si stanno ingrossando - fateci gli auguri!


Attraversate dai raggi del sole le infiorescenze di Castilleja sembrano piuttosto illuminate dall'interno; alla sera i colori vibrano e rendono evocative anche le mie due cassette - riuscite ad immaginate la suggestione di un'intera prateria?

(Il fiore è ridotto a semplice supporto degli stami e del pistillo e appare tra le brattee come uno sperone formato da un solo petalo, con lo stigma all'apice, mentre gli altri quattro petali si presentano come protuberanze verde intenso a metà del tubo corollino; ma proprio con una pressione in quel punto l'apice del fiore si apre per mostrare le antere e liberare il polline. Nella foto sotto si notano anche i calici dei fiori, ben sviluppati, che affiancano le brattee coloratissime nella funzione vessillare).


(Le brattee sono verdi alla base e poi virano al vermiglio - un "verde che dà sul rosso" che forse sarebbe piaciuto al Wittgenstein delle Osservazioni sui Colori...)

giovedì 19 agosto 2010

Ex Tempore

La pianta da associare alla malinconia non è Clematis viticella (post del 6 agosto), che per altro entra tardi nei florilegi e nei dipinti (ora come ora ricordo solo Manet, Fantin-Latour e Monet), ma Aquilegia vulgaris, la più comune delle aquilegie europee (un tempo):

«Secondo Panofsky, l'aquilegia raffigura il dolore della Madonna. Egli ha basato la sua interpretazione sulla relazione tra il nome francese di questa pianta ("ancholie") e la parola "melancholie" (malinconia), citando come fonte La Curne de Sainte-Palaye. La relazione tra "ancholie" e "melancholie" era già stata suggerita da Martin in Les Heures de Boussu. Martin individuò un bordo di aquilegia nella scena della morte di Margherita di Boussu. Infatti, l'aquilegia può avere una connotazione funeraria nel Rinascimento.»*
 
Così scrive Mirella Levi D'Ancona in una nota relativa alla decodificazione dei simboli botanici presenti nel ritratto di fanciulla (identificata con Ginevra d'Este) del Pisanello, conservato al Louvre.

 

Melancolia (poi malinconia, ma i significati dei due termini non si sovrappongono esattamente) dal greco melàine chole ovvero bile nera o atrabile: uno dei quattro umori presenti nel corpo umano secondo la teoria di Ippocrate; generato dalla milza, associato all'elemento terra, all'inverno e al colore nero - o blu scuro o viola: la cultura classica non li distingueva. Che, non per caso, sono i colori dell'aquilegia europea (ancora più scuri i toni in Aquilegia atrata, virando verso il porpora). Il viola entra ufficialmente nei colori liturgici con il Rationale Divinorum Officiorum (1280 circa) di Guglielmo Durando, poi Vescovo di Mende, come variazione del nero, già previsto nel De Sacro Altaris Mysterio, del 1195, dal Cardinale Lotario, poi Papa Innocenzo III, assieme a rosso, verde e bianco (Durando aggiunge anche il giallo). E il Cardinale - suppongo - proprio dalle teorie classiche sulla physica avrebbe tratto spunto per la simbologia dei colori.

L'associazione dell'aquilegia con la tristezza e il dolore - di Cristo, di Maria, ma anche profano, come in Pisanello - ha molta fortuna tra il Quattrocento e il Cinquecento quando il fiore è spesso raffigurato insieme ad altri da molto più tempo parte della simbologia cristiana (anche perché presi da quella classica, cui l'aquilegia invece non appartiene) come l'iris o il giglio. Esempi notissimi quelli di Hans Memling e Hugo va der Goes.

Insomma, la mia clematis, viola profondo, non era del tutto fuori posto. E poi, prima di coprirsi di sovrasensi, i fiori delle Ranunculaceae sanno regalare alcuni tra i blu più intensi che si possano desiderare in giardino - oltre a Clematis e Aquilegia si pensi ad Anemone hortensis, Aconitum napellus, Delphinium, Nigella...

La maggior parte delle varietà di aquilegia oggi proviene da Aquilegia caerulea, americana, che, a dispetto del nome, è capace di una grande variabilità cromatica, anche senza il contributo di specie gialle o rosse e gialle (A. chrysantha, A. formosa ecc.). In un giardino salvatico si diffondono da sole, disseminandosi anche nei posti più improbabili e ogni volta producendosi in almeno un cambiamento: nelle dimensioni o nel numero o nel colore dei petali, se non nel tono di verde delle foglie.

E tuttavia Aquilegia vulgaris resta la mia preferita - e non solo per il colore. Le relazioni sono più interessanti degli oggetti in sé.


(In ogni caso, volendo folleggiare, la serie delle varietà "Barlow" - o Aquilegia vulgaris var. stellata - offre fiori spettacolari: Blue Barlow, Nora Barlow, Black Barlow, Rose Barlow).



*Mirella Levi D'Ancona, The garden of the Renaissance. Botanical symbolism in italian painting, Firenze, 1977.

lunedì 16 agosto 2010

Seminare ricordi (seconda parte) - Paesaggi da Mangiare 04

Ma le Castilleja possiedono proprietà che le hanno fatte entrare negli usi delle popolazioni locali e nell'interesse degli studiosi - in attesa di entrare in quelli di qualche industria farmaceutica? Ojibwe, Shoshoni, Hopi, Zapotechi... Indagini di etnobotanica hanno mostrato che dal nord al sud le diverse specie di Castilleja entravano via via in preparati per curare disturbi renali e gastrointestinali; nei casi di menorragia come di epistassi; e in emetici, contraccettivi, analgesici contro i dolori muscolari o artritici; antinfiammatori in caso di raffreddori, mal di gola, congiuntiviti e otiti; alla base tanto di detergenti per i capelli quanto di efficaci veleni; la pianta intera, battuta, era posta nei mocassini contro la cattiva sudorazione... L'assunzione da parte delle gestanti faceva sì che il feto rimanesse di dimensioni contenute; in tal modo le future madri non perdevano le capacità lavorative e inoltre il parto era facilitato.

Le proprietà sono state accertate - in vario grado - e sono da attribuirsi principalmente all'alta concentrazione nei tessuti della pianta (soprattutto le foglie) di selenio, elemento che le Castilleja sono in grado di accumulare dai terreni calcareo-gessosi; il selenio è un non metallo affine allo zolfo: oligonutriente, in quantità eccessiva risulta tossico sia per gli erbivori sia per l'uomo. Altri studi hanno confermato la presenza di glicosidi di valore farmacologico; ma le ricerche sembrano richiedere ulteriori approfondimenti, vista la capacità delle Castilleja di assorbire simili sostanze direttamente dalle radici della pianta ospite.

È curioso notare come Castilleja lanata, affine a C. integra, entri ancora oggi in piatti a base di riso e fagioli delle popolazioni zapoteche di Oaxaca con il nome di "Hierba de Conejo" - fresca o secca; considerando che la pianta non possiede un aroma spiccato quanto, ad esempio, un rosmarino o un prezzemolo, viene da pensare che sia entrata nell'uso culinario più per le sue virtù che per il suo sapore - come "integratore" diremmo noi (ed è interessante che in una pietanza di sincretismo culinario, che associa il riso ai fagioli, rimanga qualcosa di così ancestrale come questa hierba).

Il nome che gli Zapotechi davano alla pianta era "guièe-dzǐn̲g" ovvero "fiore dei colibrì"; sono infatti questi uccelli a impollinare Castilleja - anche se il nome zapoteco comprendeva altre specie vegetali non imparentate tra loro, ma accomunate dalla produzione di fiori tubulosi e rosso-arancio, ovvero dalle caratteristiche che più attraggono i colibrì; una delle tante dimostrazioni che il nome comune è assegnato innanzitutto alle piante "utili" - le altre rimanendo "erbe" - e che piante diverse prendono lo stesso nome quando hanno lo stesso uso, rendendo spesso impossibile l'esatta corrispondenza biunivoca tra nome scientifico e nome comune. Tornando ai colibrì, sono circa diciassette le specie di trochilidi che sostano in New Mexico durante le loro migrazioni dal Messico al Canada, attraversando il Nord America occidentale lungo un tragitto che si sovrappone all'areale di molte Castilleja. Una delle più belle credo sia Selasphorus rufus; una delle più comuni - ma non certo disprezzabile per questo! è Archilochus colubris.

I colori intensi della maggior parte delle Castilleja hanno attratto non solo gli uccelli, ma pure l'uomo, come testimonia il nome comune più diffuso, "Pennello Indiano", che pare derivi non solo dall'aspetto, che ricorda appunto un rozzo pennello piantato nel terreno, ma pure dall'effettivo uso della pianta per stendere i colori nei dipinti cerimoniali. In ogni caso l'infiorescenza era realmente utilizzata fresca come ornamento durante alcune cerimonie oppure, esiccata e tritata, come colorante per tinture.

La semplice seduzione attraverso il colore, le proprietà salutari, la sacralità, il legame con la terra che le Castilleja veicolano sono compiutamente espressi in una suggestiva leggenda indiana, pubblicata come racconto per bambini da Tomie dePaola, The Legend of the Indian Paintbrush, di cui val la pena riportare il riassunto (direttamente tradotto da questo sito: http://dwellingintheland.blogspot.com/2008/02/legend-of-indian-paintbrush.html): 

"C'è un ragazzo indiano di nome Little Gopher [...], che è troppo piccolo e debole per uscire con i guerrieri della sua tribù. Ma il piccolo Gopher aveva un dono speciale ... il dono di essere in grado di dipingere immagini. Invece di combattere in grandi battaglie, le dipinse così la sua gente le avrebbe sempre ricordate. Ebbe un sogno in cui vedeva se stesso mentre cercava di dipingere il tramonto e portare la felicità alla sua tribù. Egli tenta per anni senza però riuscire mai a ottenere i colori giusti per rendere giustizia con la pittura alla bellezza del tramonto. Ma lui non si arrende e continua a dipingere per il suo popolo. Una sera sale su un colle e trova [infissi nel terreno] alcuni pennelli intinti con la vernice di colore giusto. Dipinge il tramonto e lo porta al suo villaggio. Il giorno dopo, le colline sono ricoperte di fiori di colore rosso, arancione, giallo, rosa. Questi fiori furono chiamati Pennelli Indiani." 

 
E per vedere i luoghi della leggenda (Taos, New Mexico) accostati agli acquarelli di dePaola, ecco un breve filmato - purtroppo girato in inverno (sempre per l'educazione dei ragazzi americani; nei primi dieci minuti la parte che riguarda l'"Indian Paintbrush" - la specie riprodotta sulle pagine del libro sembra essere Castilleja lanata).

[Continua!]

Seminare ricordi (prima parte) - Paesaggi da Mangiare 04

Doña Sol e Der Mann ohne Schatten decidono di visitare le Colonie d'oltre Atlantico; sbarcativi sulla costa orientale, ne attraversano i territori seguendo vie poco frequentate. Nella solitudine notturna degli altipiani del Nuovo Messico (densità di popolazione: 6,27/ km²), attraverso il rapporto con il paesaggio, hanno la benedizione (alla loro età!) di una nuova esperienza di sé, mentre la memoria di quei momenti, assieme a quelle dei silenzi, delle forme e degli odori del luogo, sembra prendere corpo in un'erba dai colori accesi, che i coloni chiamano "Orange Indian Paintbrush" o "Prairie Fire".

 
Castilleja integra

Castilleja integra è una delle circa duecento specie di piante erbacee, perenni o annuali, appartenenti a un genere da non molto trasferito dalla famiglia delle Scrofulariaceae a quella delle Orobanchaceae. Le Castilleja sono emiparassite: pur essendo in grado di svolgere la fotosintesi, sviluppano speciali radici (austori) che si fissano a quelle delle piante ospiti per trarne nutrimento - e acqua! vivendo per lo più in regioni dove questa è scarsa (non diversamente da, Bartsia alpina, una pianta erbacea dall'aspetto modesto, che si incontra - raramente - sulle Alpi intorno ai 2.000 metri s.l.m.).

E mentre le varie orobanche si specializzano ciascuna su un preciso ospite, le castilleja sembrano essere invece onnivore; Castilleja integra trova comunque il partner ideale in una graminacea molto diffusa nel Nuovo Mondo, dal Canada all'Argentina: Bouteloua gracilis o "Blue Grama Grass" (il termine Blue si riferisce al colore glauco delle foglie), appartenente a un genere di una quindicina di specie dedicato ai fratelli Claudio (1774-1842) e Esteban (1776-1813) Boutelou y Soldevilla, botanici spagnoli, da Mariano Lagasca (1776-1839), a sua volta per lungo periodo direttore dell'Orto Botanico di Madrid (cosa curiosa, credo che nessuno dei tre abbia mai varcato l'oceano e visto le Bouteloua nel loro ambiente).

Bouteloua gracilis è caratteristica delle praterie d'erbe basse, delle quali appartiene alla vegetazione climax, in grado di diffondersi anche in ambienti aridi e rocciosi, grazie alle radici che raggiungono i due metri di profondità - mentre la pianta è alta in media 20/30 centimetri! Le infiorescenze di questa specie sono caratteristiche: le brevi spighe si dispongono infatti orizzontalmente e da una a tre per ogni culmo, così che la pianta sembra sempre piegata dal vento. Pare che la conta del numero delle spighe fosse usata da alcune popolazioni indiane per prevedere le condizioni dell'inverno a venire: una spiga, miti - tre spighe, rigide (da noi si contavano le tuniche dell'aglio...). È pure un ottimo foraggio per i cattles, il bestiame lasciato pascolare allo stato semi-brado. È stata scelta come erba nazionale del Nuovo Messico (la cui pianta nazionale invece è Yucca con tutte le sue specie).

José Castellino Mutis (1732-1808) invece, che l'Atlantico attraversa, vivendo a lungo e poi morendo a Santa Fe, capitale del Virreinato del Nuevo Reino Granada (oggi Bogotà), dedica il genere Castilleja al proprio maestro Domingo Castillejo (1744-1793); questi occupava tra l'altro il posto di responsabile dell'orto di acclimatazione istituito nella Baia di Cadice per ricevere le piante dal Nuovo Mondo. Altri tempi.

Le Castilleja possiedono brevi fusti eretti, alla sommità dei quali spicca l'infiorescenza a spiga, di cui la parte più vistosa è data dalle brattee interposte ai fiori, solitamente dello stesso colore di questi, ma sempre in tono più intenso. In molte specie le brattee sono rosso-arancione, in altre rosa-lilla o gialle. Castilleja indivisa è una delle specie più conosciute, grazie alla spettacolare fioritura di massa lungo le strade del Texas, spesso in compagnia dei "Bluebonnets" (Lupinus texensis per lo più). Castilleja integra, simile, ha dimensioni minori e cresce in un'ampia gamma di luoghi aridi: pendii, altipiani, pianure, in praterie a quota medio-alta, steppe arbustive, anche al margine dei boschi, su terreni rocciosi o ghiaiosi. Nelle zone più alte lascia posto a C. austromontana, mentre in quelle desertiche a C. lanata.

Basta indagarne la fisionomia per comprendere l'ambiente a cui la pianta si è adattata; vale per tutte le specie, ma in Castilleja la cosa è molto evidente. Il portamento è basso e compatto e l'intera pianta è coperta di peluria, che riflette in parte la radiazione solare e trattiene l'umidità - facendo pure condensare quella dell'aria al mattino, che le foglie strette e dai margini ricurvi incanalano verso il fusto. Tutto predisposto per sopravvivere in territori dove la piovosità è scarsa e le temperature sono soggette a forti escursioni, sia tra il giorno e la notte, sia tra l'estate e l'inverno. Anche il parziale parassitismo fa parte della strategia di sopravvivenza; altre specie desertiche si sono dotate di un apparato radicale così esteso e robusto da impedire l'insediamento ravvicinato di piante concorrenti (e dunque la vegetazione si presenta a ciuffi, con tratti di terreno scoperto); Castilleja supplisce all'apparato radicale ridotto con la presenza di austori la cui efficacia è testimoniata dalla crescita stentata delle piante circostanti.

Osservare le Castilleja fa vedere paesaggi molto lontani - anche se non sono specie psicotrope...