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lunedì 16 agosto 2010

Seminare ricordi (seconda parte) - Paesaggi da Mangiare 04

Ma le Castilleja possiedono proprietà che le hanno fatte entrare negli usi delle popolazioni locali e nell'interesse degli studiosi - in attesa di entrare in quelli di qualche industria farmaceutica? Ojibwe, Shoshoni, Hopi, Zapotechi... Indagini di etnobotanica hanno mostrato che dal nord al sud le diverse specie di Castilleja entravano via via in preparati per curare disturbi renali e gastrointestinali; nei casi di menorragia come di epistassi; e in emetici, contraccettivi, analgesici contro i dolori muscolari o artritici; antinfiammatori in caso di raffreddori, mal di gola, congiuntiviti e otiti; alla base tanto di detergenti per i capelli quanto di efficaci veleni; la pianta intera, battuta, era posta nei mocassini contro la cattiva sudorazione... L'assunzione da parte delle gestanti faceva sì che il feto rimanesse di dimensioni contenute; in tal modo le future madri non perdevano le capacità lavorative e inoltre il parto era facilitato.

Le proprietà sono state accertate - in vario grado - e sono da attribuirsi principalmente all'alta concentrazione nei tessuti della pianta (soprattutto le foglie) di selenio, elemento che le Castilleja sono in grado di accumulare dai terreni calcareo-gessosi; il selenio è un non metallo affine allo zolfo: oligonutriente, in quantità eccessiva risulta tossico sia per gli erbivori sia per l'uomo. Altri studi hanno confermato la presenza di glicosidi di valore farmacologico; ma le ricerche sembrano richiedere ulteriori approfondimenti, vista la capacità delle Castilleja di assorbire simili sostanze direttamente dalle radici della pianta ospite.

È curioso notare come Castilleja lanata, affine a C. integra, entri ancora oggi in piatti a base di riso e fagioli delle popolazioni zapoteche di Oaxaca con il nome di "Hierba de Conejo" - fresca o secca; considerando che la pianta non possiede un aroma spiccato quanto, ad esempio, un rosmarino o un prezzemolo, viene da pensare che sia entrata nell'uso culinario più per le sue virtù che per il suo sapore - come "integratore" diremmo noi (ed è interessante che in una pietanza di sincretismo culinario, che associa il riso ai fagioli, rimanga qualcosa di così ancestrale come questa hierba).

Il nome che gli Zapotechi davano alla pianta era "guièe-dzǐn̲g" ovvero "fiore dei colibrì"; sono infatti questi uccelli a impollinare Castilleja - anche se il nome zapoteco comprendeva altre specie vegetali non imparentate tra loro, ma accomunate dalla produzione di fiori tubulosi e rosso-arancio, ovvero dalle caratteristiche che più attraggono i colibrì; una delle tante dimostrazioni che il nome comune è assegnato innanzitutto alle piante "utili" - le altre rimanendo "erbe" - e che piante diverse prendono lo stesso nome quando hanno lo stesso uso, rendendo spesso impossibile l'esatta corrispondenza biunivoca tra nome scientifico e nome comune. Tornando ai colibrì, sono circa diciassette le specie di trochilidi che sostano in New Mexico durante le loro migrazioni dal Messico al Canada, attraversando il Nord America occidentale lungo un tragitto che si sovrappone all'areale di molte Castilleja. Una delle più belle credo sia Selasphorus rufus; una delle più comuni - ma non certo disprezzabile per questo! è Archilochus colubris.

I colori intensi della maggior parte delle Castilleja hanno attratto non solo gli uccelli, ma pure l'uomo, come testimonia il nome comune più diffuso, "Pennello Indiano", che pare derivi non solo dall'aspetto, che ricorda appunto un rozzo pennello piantato nel terreno, ma pure dall'effettivo uso della pianta per stendere i colori nei dipinti cerimoniali. In ogni caso l'infiorescenza era realmente utilizzata fresca come ornamento durante alcune cerimonie oppure, esiccata e tritata, come colorante per tinture.

La semplice seduzione attraverso il colore, le proprietà salutari, la sacralità, il legame con la terra che le Castilleja veicolano sono compiutamente espressi in una suggestiva leggenda indiana, pubblicata come racconto per bambini da Tomie dePaola, The Legend of the Indian Paintbrush, di cui val la pena riportare il riassunto (direttamente tradotto da questo sito: http://dwellingintheland.blogspot.com/2008/02/legend-of-indian-paintbrush.html): 

"C'è un ragazzo indiano di nome Little Gopher [...], che è troppo piccolo e debole per uscire con i guerrieri della sua tribù. Ma il piccolo Gopher aveva un dono speciale ... il dono di essere in grado di dipingere immagini. Invece di combattere in grandi battaglie, le dipinse così la sua gente le avrebbe sempre ricordate. Ebbe un sogno in cui vedeva se stesso mentre cercava di dipingere il tramonto e portare la felicità alla sua tribù. Egli tenta per anni senza però riuscire mai a ottenere i colori giusti per rendere giustizia con la pittura alla bellezza del tramonto. Ma lui non si arrende e continua a dipingere per il suo popolo. Una sera sale su un colle e trova [infissi nel terreno] alcuni pennelli intinti con la vernice di colore giusto. Dipinge il tramonto e lo porta al suo villaggio. Il giorno dopo, le colline sono ricoperte di fiori di colore rosso, arancione, giallo, rosa. Questi fiori furono chiamati Pennelli Indiani." 

 
E per vedere i luoghi della leggenda (Taos, New Mexico) accostati agli acquarelli di dePaola, ecco un breve filmato - purtroppo girato in inverno (sempre per l'educazione dei ragazzi americani; nei primi dieci minuti la parte che riguarda l'"Indian Paintbrush" - la specie riprodotta sulle pagine del libro sembra essere Castilleja lanata).

[Continua!]

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