NO, NON È UN BLOG DI GIARDINAGGIO
MA POTRESTE TROVARE QUEL CHE NON STATE CERCANDO


mercoledì 26 gennaio 2011

Giardino di poeta - 14

Il radicamento


mi stringo addosso il giorno
e m'inviluppo nella sua luce ricca di cortesia
e sento che mi guazza dentro come un'ape nel suo fiore
e ho paura di gesti sconsiderati
perché ho paura che si sfasci per troppa frenesia
e mi lasci al buio
accucciata in un nome di città


in questa terra gessosa e sortumosa
mondati gli alberi dalle erbe nocive
si calano margotti dentro vasi
e si innaffiano generosamente
perché mettano molte radici
e si dilatino a piacimento
prima del taglio del ramo


si semina alquanto rado coprendo i semi più sani
e germogliati si rinforzano sarchiando
e piegate le foglie si rincalzano con le mani nude
fino a coprire il grumolo di terra
perché le pianticelle abbiano vita più sostanziosa e fresca

e quando il ceppo è rinforzato
si mantiene per lunga serie di anni
approfondandosi la sua radice con molta forza

non sente il bisogno d'innalzare pergole
e si mette in ginocchio
per curare il seme buono che germoglia
perché riconosce le erbe tossiche e anche i fiori
e non farebbe mai una frittata di ranuncoli
ma prepara insalate di foglie di fragola tenerelle

e si stringe al petto reggendosi in piedi
quando soffia malo vento e sturati rigurgitano
gli sfiatatoi delle anime bolle


alla moltiplicazione del pesco
più d'ogni altro conviene
l'innesto a occhio dormiente


volendo godere maggior frutto e maggior durata
zappa la vigna tre volte l'anno
e la netta dagli erbaggi che tolgono alimento

e ariosamente ordina i rami


Jolanda Insana, L'occhio dormiente, poesie 1987-1994.

martedì 25 gennaio 2011

Mai dire mais

Appena sentito sul TgR Lombardia: a causa delle alluvioni, in Brasile e in Australia la produzione di mais sarà fortemente ridotta; la Cina, per aumentare le proprie scorte, ne chiede gli USA maggiori forniture; il prezzo del mais di conseguenza sale ancora (circa del 50% negli ultimi mesi - cfr. sul sito di Agricoltura24) mettendo in crisi gli allevatori lombardi di vacche da latte. Cosa si chiede per risolvere il problema?

Di pensare un mercato locale che accorci le distanze tra coltivatori e allevatori lombardi/padani/italiani/...?
Di aumentare la produzione italiana di mais?
Di cambiare foraggio o metodo di allevamento per le vacche?
Di rivedere le politiche agricole?
Di intervenire presso il Consiglio dell'Unione Europea?

Niente di così distante: si chiede al Governo di stanziare fondi per sostenere le aziende in crisi.

L'anno prossimo magari in Australia non pioverà così tanto...

lunedì 24 gennaio 2011

Lo fanno anche le api

Helleborus niger

Cercare fiori, ovviamente. Lo fanno per soddisfare il bisogno di cibo: nettare, polline. Necessità primaria, per sopravvivere, moltiplicarsi. E noi, i fiori, perché li cerchiamo, per soddisfare quale desiderio? E se fossimo privati di questa soddisfazione - non dei fiori, ma di ciò che ne traiamo - deperiremmo? Quali sono le nostre necessità primarie?

Domande di uno stufo di aspettare che passi l'inverno.

Helleborus niger

Helleborus niger

Helleborus niger

Helleborus niger

Helleborus niger

AAA. Son of York - or from anywhere else - wanted to make the winter of our discontent a Glorious Summer.

venerdì 21 gennaio 2011

A un livello terra-terra - 02

     - Le mie piante sono sofferenti, crescono poco… l’anno scorso invece erano piene di fiori.
(A un primo sguardo sembrano irrigate correttamente. Anche l’esposizione è appropriata e non vi sono segni di patologie in atto).
     - Con cosa le ha concimate?
     - … concimate?
     - Sì, può accadere che…
     - Io non concimo mai! I concimi inquinano!

Avessi chiesto se fuma il sigaro quando fa visita alla nonna in ospedale, l’espressione non sarebbe stata più scandalizzata.
Bisogna conoscere la Causa delle Cose, diceva il lama Teshoo. 
Altrimenti si resta legati alla Ruota.
E si fanno morire di fame le piante.

Si accennava alla formazione del suolo, a come sia influenzata dalla roccia madre e dal clima (temperature, quantità e distribuzione delle precipitazioni) oltre che dai fattori locali. E di quanto inoltre le caratteristiche fisiche del suolo siano legate a quelle chimiche e queste a loro volta siano modificate dall’attività degli esseri viventi – batteri, funghi, piante, animali… Allora, prima di parlare delle concimazioni, credo che sia bene soffermarsi proprio sul ruolo delle piante nei processi della pedogenesi.

Le piante accumulano elementi tratti dall’acqua e dall’aria (da questa sia direttamente, come per il carbonio, sia indirettamente, come per l’azoto, reso assimilabile in seguito all’attività di alcuni batteri che proliferano nel terreno) che al momento della caduta delle foglie o alla morte della pianta eccetera sono trasferiti nel terreno. Infatti i composti del carbonio derivati dalla fotosintesi e contenuti nei tessuti vegetali divengono nutrimento per altri organismi che li decompongono fino alla mineralizzazione, rendendoli nuovamente disponibili per le piante. Il terreno, sede di questi processi, è modificato dai composti finali come da quelli intermedi della decomposizione: qualcosa che in un substrato non ancora colonizzato era assente, con l’arrivo delle piante inizia ad accumularsi e/o a innescare nuove interazioni chimiche che contribuiscono alla formazione del suolo.

 da G. Dell'Agnola, Chimica agraria, Padova, 1978.

Mentre la pedogenesi procede, sopra il livello del terreno la comunità vegetale cambia progressivamente; le piante colonizzatrici non si riproducono più perché l’ambiente, trasformatosi anche a causa loro, non ne soddisfa più le esigenze; le piante erbacee iniziali sono sostituite da altre fino al raggiungimento di un’associazione stabile, detta climax, spesso costituita principalmente da specie arboree (ma ciò dipende dalla zona geografica oltre che da fattori locali). A questo punto vi è equilibrio (quasi) perfetto tra ciò che è sottratto e ciò che è ceduto al terreno dalle piante e dagli altri organismi.

Dunque sono le piante stesse a procurarsi il necessario dall’ambiente (ma, rovesciando la prospettiva, si potrebbe dire pure che sono solo le piante adatte alle caratteristiche – in trasformazione – di quell’ambiente a perpetuarsi).

Questo “in natura”; ma in giardino? In giardino i processi biochimici sono gli stessi, ovviamente; cambiano però i dati iniziali…
Innanzitutto molto spesso il terreno è di riporto (pensiamo al comune caso del giardino di un’abitazione appena costruita), ammassato senza che ci si preoccupi di rispettarne la stratificazione originale; per lo più è stato cavato in profondità, in corrispondenza del solo orizzonte B, privo di sostanza organica e dunque di tutti i microrganismi che se ne nutrono e che, qualora fossero presenti, costituirebbero invece importanti relazioni con gli organismi superiori.
In un giardino, poi, l’associazione delle piante è frutto di scelte basate su criteri estetici piuttosto che di ecologia vegetale. Specie dalle esigenze dissimili e dalla diversa velocità di crescita sono chiamate a convivere, già adulte, su un substrato che non può ancora offrire loro tutto ciò di cui necessitano. Una comunità artificiale in un ambiente artificiale che ha bisogno di cure – di arte – per sopravvivere. E dunque anche di concimazioni.

Nei primi tempi dall’impianto, il giardinante dovrebbe considerare sia le esigenze immediate delle diverse specie – somministrando concimi di rapida assimilazione – sia il miglioramento che, pur in tempi lunghi, il terreno potrà subire – distribuendo soprattutto sostanza organica che inneschi la parte biologica del processo pedogenetico (anche se questo si svolge nel corso di anni – o, meglio, decenni). Compost, innanzitutto, ma pure letame, torba eccetera: non tutti forniscono gli stessi nutrienti e ciascuno manca di qualcosa, che andrà integrato, ma tutti portano alla formazione di humus, essenziale per incrementare le qualità fisiche e chimiche del terreno, compresa la capacità di trattenere quegli elementi chimici essenziali che altrimenti, allontanati dal dilavamento causato da piogge e irrigazioni, andrebbero reintrodotti attraverso prodotti di sintesi, gli stessi corresponsabili della degradazione dei suoli agricoli.

Rimane da stabilire quanto concimare e in quali momenti dell’anno; per farlo scientificamente sarebbero necessarie analisi di laboratorio molto spesso non accessibili e comunque dispendiose. Resta il buon senso – che tuttavia troverà sostegno nella conoscenza anche empirica dei vari elementi che compongono il giardino e che possono essere determinati già al momento della progettazione. Poiché non tutti i giardini hanno il medesimo peso ecologico.

(continua)

lunedì 10 gennaio 2011

Sulla percezione del paesaggio

Una domanda come quella nata su Erba Volant a proposito della percezione del paesaggio meriterebbe un ragionamento articolato e sostenuto da dati sicuri; il che non è nelle mie capacità; tuttavia sento l’argomento di tale importanza che desidero contribuire almeno con qualche considerazione.

Allora, ab ovo. Accanto ai tradizionali gradi d’interpretazione della Bibbia – letterale, allegorico o figurale, morale e anagogico – per il passo “maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo” (Genesi 3, 17 nella versione C.E.I.) si potrebbe azzardare anche una lettura “termodinamica”, dove il dolore non sarebbe quello dovuto alla fatica fisica, superabile con l’uso delle macchine, ma corrisponderebbe all’inevitabile aumento di entropia, che l’uso delle macchine piuttosto accelera, e alla conseguente diminuzione delle risorse disponibili. 

Gli organismi capaci di fotosintesi immettono nel sistema composti ad alto potenziale energetico. L’uomo onnivoro è talvolta consumatore primario (ad esempio quando si mangia le alghe), talvolta secondario (si mangia il pesce piccolo che mangia le alghe) o terziario (si mangia il pesce grosso che mangia il piccolo) eccetera eccetera. Se in un certo tempo l’energia consumata (che non significa solo “mangiata”, ma pure “bruciata” – in tutte le accezioni del termine) è inferiore a quella immessa, tutto bene; se arriviamo a mangiarci più alghe di quelle che servono per reintegrare l’energia nel sistema, evidentemente questo collassa. A che punto siamo? Scompensi già se ne vedono: consumandone, sottraiamo energia ad altri elementi della comunità biologica e i più fragili ne soffrono fino a estinguersi. In altri casi la capacità di rigenerazione è così compromessa che un intero ambiente sparisce.

La visione della natura come qualcosa a disposizione dell’uomo è propria soprattutto della cultura occidentale (e dà ancora una particolare sfumatura alla dizione paesaggio antropizzato – come se questo seguisse regole proprie), mentre l’idea di una comunione tra uomo e natura è più frequente nelle società orientali – il che non ha evitato loro di essere aggressive verso l’ambiente… ma forse si tratta di un recente tributo al dio PIL. La dicotomia uomo-natura, con l’uomo in posizione dominante, porta a pensare che la natura continuerà a perpetuarsi per quanto la si consumi – non è forse stata creata proprio a questo scopo? 

È vero piuttosto che l’arrivo dell’uomo in un luogo produce necessariamente cambiamenti nella comunità biologica che lo abita, la cui rete alimentare (i.e. di scambio energetico) risulta infine alterata. L’uomo inoltre tende a modificare attivamente l’ambiente in cui si trova, per renderlo conforme alle proprie necessità; quando i mezzi per attuare la trasformazione sono poco efficaci, si radica la percezione della natura come entità ostile – la foresta in cui dimora il lupo – e ogni frazione di terra sottrattale diviene una conquista della civiltà; la conversione del selvatico in coltivato è vista come cosa buona in sé – l’unico limite riguarderebbe le capacità tecniche. 

Tuttavia una volta aumentata l’efficacia dei mezzi, le trasformazioni accelerano – ma anche le conseguenze di queste divengono palesi più rapidamente, manifestandosi in alterazioni non reversibili o almeno non in tempi biologici. Le conseguenze delle azioni non sono evitabili – provengono dal nostro essere-in-questo-mondo e si manifestano secondo le “leggi di natura”. Anche se la caduta in avanti dell’intero sistema non è evitabile – lo dice la termodinamica – è certo vantaggioso sforzarsi di modulare le azioni in modo da arrivare alla fine attraverso successivi stati di equilibrio. È un guadagnare tempo rallentando le trasformazioni. Dite che è un cattivo guadagno?

Allora i paesaggi sono per me rassicuranti quando mi paiono espressione di un raggiunto (temporaneo, certamente, tuttavia longevo) stato di equilibrio; suscitano orrore quando sono la manifestazione di violenza miope e ingorda.

(L’Eden rifatto e migliorato della Patrizia Cavalli, nella concretezza credo somigli molto alla campagna disegnata da Hayao Miyazaki in Totoro).


Già da molto tempo, a differenza del Conte Rodolfo, tornando nella campagna tra Verona e Mantova dove sono nato, non posso più dire “Vi ravviso o luoghi ameni”. La tessitura dei luoghi ovunque è stata modificata: i campi sono stati allargati, i fossati di scolo sono profondi e scavati di nuovo quasi ogni anno; sono sparite le siepi rustiche, i salici capitozzati e i filari d’alberi e con essi tutta la vegetazione “minore” e la fauna che prima li abitava (quando riusciva a sopravvivere negli interstizi lasciati dall’attività umana). Nell’insieme un impoverimento e un forte danno al sistema biologico – di cui anche il coltivato fa parte! – pure di scarso vantaggio economico e inoltre dovuto probabilmente a “futili motivi”, secondo un processo che si potrebbe schematizzare così: acquisto un mezzo meccanico per ridurre la fatica e aumentare la produzione – poi acquisto un nuovo potente mezzo meccanico per produrre ancora di più e faticare ancora di meno – e ancora in questo modo anche se l’aumento della produttività ormai è minimo – mentre alla fine il trattore e l’escavatore sono talmente grandi da costringermi a dimensionare i campi non alle esigenze dell’ambiente da cui anch’io traggo nutrimento, ma alle macchine stesse. Allargo i campi chiudo i canali estirpo alberi e siepi. Un’idea di progresso che ancora permane.

Dove vivo ora, in Valpolicella, la situazione sembra migliore e le coltivazioni appaiono in armonia con le aree più selvatiche (senza illuderci che sia rimasto qualcosa di veramente “spontaneo”); credo che ciò derivi, piuttosto che dalla consapevolezza dell’interdipendenza tra vicende umane e vicende di natura, da vecchie abitudini mescolate a considerazioni sulle difficoltà di rendere produttivi i fianchi scoscesi delle colline, ancora coperti da boschi. Guardare il paesaggio qui mi dà ancora molto piacere; tuttavia si trova in una condizione di grande fragilità. Alcuni segni sono evidenti, come le cave di pietra, altri sono più subdoli, come l’inquinamento delle acque sotterranee a causa degli allevamenti di polli e maiali; alcune alterazioni hanno cause lontane: lo scarso guadagno sulla vendita della frutta dovuto al complicarsi della filiera commerciale ha fatto sparire in pochi anni moltissimi degli alberi di ciliegio che caratterizzavano la valle insieme a vigneti e ulivi – e intanto nessuno più pianta cipressi all’ingresso delle tenute (no i me piase mia! i é roba da cimitero!)…
  
Valpolicella

Chi scendendo in Italia per il Grand Tour riconosceva nell’ordine della campagna tra Vicenza e Padova il più bello dei giardini del Veneto, oggi troverebbe cartelloni pubblicitari o capannoni allagati. Serve qualche altro segnale?

(Invece non amo i campi di tulipani per gli stessi motivi che non mi fanno amare le aiuole mocromatiche e invariabili caratteristiche dei parchi di divertimento coatto e del “verde pubblico” di terza categoria – la maggior parte…).

(E i tulipani si osservano da vicino).

Tulipa virosata

giovedì 6 gennaio 2011

Tortatuttamele - Paesaggi da Mangiare 06

La Dodicesima Notte, maltempo, freddo, neve. Urge rimedio della nonna. Meglio ancora: la torta di mele della bisnonna – o forse trisavola; tanto la ricetta potrebbe risalire a tempi in cui Berta filava (Berthe au Grand Pied, madre di Charlemagne Roi et Empereur, visto che il sapore della torta ha qualcosa di medievale, soprattutto per la presenza delle spezie – ma potremmo invocare anche Perchta, la Splendente, ché a chiamarla Befana magari s’arrabbia).

Torta di mele

Un uovo intero e due tuorli
Zucchero gr 150
Zucchero di canna gr 150
Farina gr 225
Latte, circa mezzo bicchiere
Lievito per dolci, mezza bustina
Mele kg 1,5 circa
Burro fuso gr 40 circa
Cannella e chiodi di garofano grossolanamente tritati, a piacere
Il succo di mezzo limone
Sale, un pizzico
Stecca di vaniglia macinata finemente, un cucchiaino raso

Lavate e sbucciate le mele; tagliate ogni mela in otto spicchi e ogni spicchio a fettine trasversali di mezzo centimetro di spessore o poco meno. Irroratele con il succo di limone perché non scuriscano.

Battete lo zucchero con le uova, il sale e la vaniglia fino a quando, alzando le fruste dello sbattitore elettrico, il composto “scrive” (un quarto d’ora circa).

Setacciate la farina con il lievito; aggiungetela poco alla volta al composto di uova e zucchero, mescolando con una spatola dal basso verso l’alto; alternate alla farina il latte, aggiunto a cucchiaiate. Alla fine il composto dovrà risultare fluido.

Imburrate e infarinate uno stampo a cerniera per torte del diametro di 26 centimetri; versatevi il composto e disponetevi sopra le mele.

Fate gocciolare sulle mele tre cucchiaiate abbondanti di burro fuso, poi cospargete il tutto con lo zucchero di canna e le spezie.

Infornate nel forno preriscaldato a 175° C e fate cuocere per 45 minuti circa.

Durante la cottura il composto si gonfia e avvolge le fettine di mela.

Sfornate la torta e attendete che intiepidisca prima di sformarla, affinché si rassodi.
 
È buona tiepida o anche fredda, da sola o accompagnata da crema inglese o da gelato alla vaniglia.

Torta di Mele della Nonna

Ancora due generazioni fa la si cuoceva sul piano del camino, sotto il testo, il coperchio in rame che si copriva di braci, così che il calore diffuso dolcemente evitasse le bruciature.

Quali mele? Abitiamo in collina, dove vecchie signore presso vecchie case coltivano ancora vecchi meli e, a chi le chiede, vendono le mele – carissime! Le abbiamo provate, separatamente o miscelate, fino a trovare la varietà più adatta.

Forse la mela più diffusa e commercializzata; una di quelle che nascono su alberi (?) così.
Non perché sia particolarmente profumata o piacevolmente acidula, ma per la sua consistenza, che, in una torta costituita essenzialmente da mele, diviene un elemento strutturale (oddio!).
Mentre altre varietà tendono a rassodarsi o a rilasciare liquido, rovinando il risultato, la polpa delle mele "Golden Delicious", mentre cuoce, si gonfia fino ad assumere un aspetto spumoso e conferisce sofficità alla torta.
  
(Visto il gran numero di varietà più o meno antiche ancora oggi reperibili, è ragionevole pensare che esista un’altra mela con le medesime qualità della "G. D." – e se qualcuno la trovasse e volesse farcelo sapere, ci renderebbe assai felici; ho tentato di scoprire qualcosa cercando nelle esposizioni pomologiche durante le fiere specializzate – ma finora non ho avuto fortuna, poco aiutato dagli espositori che si limitano a porre vicino al frutto un cartellino con il nome e niente più, mentre impediscono di toccare, annusare, assaggiare…).

(E il paesaggio, cosa c’entra?
La memoria, la memoria – mica si nutre di sole madeleines).

mercoledì 5 gennaio 2011

A un livello terra-terra - 01

“Quanti bicchieri d’acqua devo dare al ficus ogni settimana?”. È una domanda (con tutte le varianti: al prato, alle rose…) che mi sento rivolgere spesso; equivale a chiedere “Quanti chilometri fa con un litro?”. La pianta è intesa come macchina dai consumi programmati; mentre dovrebbe essere ben chiaro che, in quanto essere vivente, le sue esigenze cambiano in base alle caratteristiche dell’ambiente in cui si trova... Oppure: “Perché la mia camelia non fiorisce? Nel vaso ho messo terriccio acido!”. Soddisfare una delle condizioni (pH del substrato) non è sufficiente (com’era il drenaggio? e gli elementi nutritivi?); anche preoccuparsi del substrato senza porlo in relazione con la quantità di luce disponibile e questa con la temperatura e questa ancora con l’umidità dell’aria (eccetera eccetera) non è sufficiente. E, ancora, si deve tener conto che, se l’insolazione e le condizioni atmosferiche sono condizionate da eventi a grande o grandissima scala, le caratteristiche del terreno invece subiscono modifiche a livello locale – anche nel sistema (quasi) isolato di un vaso da fiori: in breve tempo il pH del terriccio acquistato come “ideale per acidofile” può essere neutralizzato dall’acqua delle annaffiature o dalle concimazioni. Panta rei os potamòs. Come un fiume – o come nella terra.

Immaginate un parallelepipedo di spugna, a grana fine, collocato verticalmente su un vassoio. Immaginate poi di distribuire sulla superficie della spugna un po’ di polvere colorante e, da ultimo, di versarvi sopra lentamente dell’acqua.

L’acqua penetrando nella spugna porterà con sé la polvere colorante; versando molto liquido, la polvere colorante sarà lavata via; versandone poco, si formerà uno strato colorato visibile sui fianchi della spugna nella parte mediana.

Immaginate ora di aggiungere una seconda polvere colorata, più grossolana della prima, che l’acqua sciolga e trasporti più lentamente: dopo aver versato poco liquido, si vedranno due strati separati di colore.

Se poi scaldaste e ventilaste la superficie della spugna, l’acqua che questa trattiene inizierebbe a evaporare facendo risalire quella filtrata nel vassoio, che porterebbe con sé verso l’alto i pigmenti prima depositati nello spessore della spugna, mescolandoli.

Avreste così un modello (anche se grossolano) delle dinamiche tra le parti che contribuiscono alla formazione di un suolo: la roccia che disgregandosi ne forma l’ossatura (la spugna); gli apporti di materiali organici e inorganici (le polveri colorate); l’acqua (l’acqua!). Il modello tuttavia non tiene conto delle interazioni chimiche tra le parti che avvengono in natura. Soprattutto non descrive le trasformazioni che il suolo subisce nel tempo (ovvero il processo pedogenetico).

I vari sistemi di classificazione in uso riconoscono nella sezione (profilo) di un suolo la presenza di strati sovrapposti; lo strato (orizzonte) superficiale è indicato con la lettera O ed è costituito da materiale organico più o meno decomposto; sotto si trova l’orizzonte A, con una zona più scura che riceve dall’orizzonte superiore la materia organica umificata e una più chiara sottoposta al dilavamento da parte dell’acqua piovana; da questo orizzonte gli ossidi di ferro e alluminio, la sostanza organica e colloidi argillosi sono trasportati nell’orizzonte successivo B, dove si accumulano; sotto a questo, l’orizzonte C, costituito prevalentemente da roccia più o meno frantumata – la roccia madre su cui poggia il suolo. Le caratteristiche chimiche e fisiche degli orizzonti dipendono in gran parte dal clima e dunque variano da una zona geografica all’altra.

(Qui naturalisti dell' AIN al lavoro su una sezione di suolo.) 

Gli studi pedologici nascono soprattutto dall’urgenza di individuare i suoli con le migliori potenzialità agronomiche e dalla ricerca di dati utili all’elaborazione di processi di conversione dei suoli stessi in terreni di coltura.
Il più diffuso sistema di classificazione è proprio quello della FAO, utilizzato per redigere carte dei suoli a livello mondiale.
Nell’agronomia quindi un suolo, dopo esser stato analizzato nelle sue costituenti fisiche e chimiche – granulometria (sabbioso, argilloso, limoso ecc.), pH (acido, basico), concentrazione di carbonati, di sostanze azotate ecc. – è poi inteso come materiale grezzo da trasformare con la lavorazione meccanica e con l’apporto di prodotti chimici.

Questa visione “da laboratorio” si rivela però appena meno rozza del modello della spugna: non basta reintegrare chimicamente quel che è stato sottratto quando tutto il processo pedogenetico è alterato – tanto che a quel punto non si può più parlare di suolo; lo dimostra macroscopicamente la sempre più ridotta capacità di produzione di un terreno in non moltissimi anni di coltivazioni intensive.

Il suolo non è un substrato – è l’ambiente nel/sul quale vivono complesse comunità di esseri viventi che ne sono condizionate e che a loro volta vi inducono alterazioni.

(continua)

sabato 1 gennaio 2011

Auguri

L'Eden

Mi hanno mandato via?
E io me lo rifaccio.
E visto che ci sono lo miglioro.


Patrizia Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, 2006.