NO, NON È UN BLOG DI GIARDINAGGIO
MA POTRESTE TROVARE QUEL CHE NON STATE CERCANDO


giovedì 30 settembre 2010

Coltivare un classico

Come Aladino nel giardino dagli alberi su cui maturano pietre preziose. Così mi sono sentito di fronte alla profusione di bulbi, tuberi e rizomi che erano offerti da vari espositori alla fiera Piante e Animali Perduti di Guastalla - e desideroso di avere abbastanza spazio per coltivarli tutti, in un impeto di ingordigia botanica. Ma essendo la realtà ben diversa, sono tornato a casa con un sacchettino contenente solo cinque narcisi. Dei quali peraltro sono molto soddisfatto.

Etichettati come Narcissus "Campernelli", li ho acquistati perché la varietà pareva piuttosto antica (come in effetti si è rivelata), qualità che me la rendeva preferibile ad altre, moderne, sebbene queste avessero forme e colori più appariscenti. Dunque una caratteristica non sensibile (ma ci sono pure il profumo intenso e il giallo luminoso e il fiore doppio) ha determinato la scelta tra decine di narcisi perché prometteva un piacere ulteriore (intellettuale, culturale?), piacere non dissimile da quello che viene dalla lettura di un testo classico, tanto che ci si potrebbe riallacciare qui agli stessi argomenti che Italo Calvino elencava in proposito - basta sostituire libro con pianta e leggere con coltivare:
  1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...».
  2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
  3. I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
  4. D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
  5. D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
  6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
  7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).
  8. Un classico è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
  9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.
  10. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani.
  11. Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
  12. Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.
  13. È classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
  14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona.
Italo Calvino, Perché leggere i classici, Milano, 1995.

Una varietà che abbia attraversato decenni o secoli di coltivazioni, di giardini e di giardinieri di quelli testimonia la storia, ne diviene eredità e legame.

Il nome corretto del mio acquisto è però Narcissus x odorus "Plenus" - si tratta della forma a fiori doppi di un ibrido spontaneo tra Narcissus pseudonarcissus e Narcissus jonquilla (ovvero il Trombone e la Giunchiglia: pare il titolo di un racconto morale d'altri tempi); i testi e i siti che ho consultato non ne parlano esplicitamente, ma ritengo plausibile che Narcissus x odorus sia comparso prima sui prati della Penisola Iberica, dove gli areali di entrambi i genitori si sovrappongono, e da lì sia stato diffuso nei giardini. Ne parla il Clusio nel Rariorum Plantarum Historia, del 1601, affermando di averlo visto per la prima volta nel 1595 presso l'Orto Botanico di Leida (Lugdunum Batavorum nel testo) e descrivendolo sotto il nome di Narcissus juncifolius amplo calice; qualche decennio più tardi, John Parkinson riporterà notizie anche sulla forma a fiori doppi nel Paradisi in Sole Paradisus Terrestris (1656) denominandola Narcissus Juncifolius luteus flore pleno (figura n. 8).

Juncifolius sta ovviamente per "con foglie simili a quelle del giunco", termine che poi entrerà nel nome linneiano N. jonquilla; della giunchiglia, infatti, Narcissus x odorus conserva molti caratteri, solo un poco temperati: dimensioni leggermente maggiori, colore del fiore appena più pallido così come poco meno intenso il profumo, foglie sottili, fioritura tardiva. Un gioiello di grande robustezza. E se nei nostri giardini è ancora una rarità, nei paesi anglosassoni non si è mai smesso di coltivarlo, tant'è che nel 2006 lungo le principali strade dello stato della Georgia (USA) se ne piantano migliaia, come parte delle iniziative legate al Wildflower Program iniziato nel 1974. Qualche considerazione in merito? Soprassediamo.

A testimonianza dell'interesse che ha sempre suscitato, questo narciso nel tempo colleziona un gran numero di nomi:
Ajax odorus; Calathinus cernuus; Jonquilla trilobus; Narcissus calathinus; Narcissus campernellii; Narcissus conspicuus; Narcissus cothurnalis; Narcissus curtisii; Narcissus elatior; Narcissus interjectus; Narcissus lobatus; Narcissus rugulosus; Narcissus semipartitus; Narcissus triandrus calathinus; Philogyne broteroi; Philogyne calathina; Philogyne campernellii; Philogyne conspicua; Philogyne curtisii; Philogyne heminalis; Philogyne interjecta; Philogyne isometra; Philogyne lobata; Philogyne odora; Philogyne rugulosa; Queltia odora...
Uno dei più frequenti è Narcissus campernellii, con le sue varianti (N. o. "Campernelle" e "Double Campernelle", N. o. "Campernel" e pure Campernella, tout court). Finora non sono però riuscito a rintracciare l'origine dell'epiteto, indicato da alcuni come di origine francese; forse un appassionato come il fiammingo Vincent Sion (di cui parleremo a proposito di un altro narciso)? o invece un profumiere di Grasse, dove pure narcisi e giunchiglie erano coltivati per ricavare due distinte essenze?
E il nome comune britannico "Queen Anne's double jonquil" in quale occasione nasce? Un fiore degno di una regina!

Fino alla prossima primavera non potrò scattare foto ai fiori dei bulbi appena acquistati; vi rimando allora a due immagini trovate in Rete.
Narcissus x odorus, spontaneizzato.
La forma doppia, sterile, dove la tromba è stata sostituita da molti verticilli di petali.

sabato 25 settembre 2010

Oro d'autunno

Accade che ci si dimentichi dei bulbi già piantati, dopo che sono trascorse settimane da quando ne abbiamo visto seccare l'ultima foglia - e allora l'improvvisa fioritura in un angolo lontano del giardino ci sorprende e il piacere che proviamo può persino far sembrare migliore la giornata. E se non appaiono scontati i ciuffi di crochi durante il risveglio di primavera, ancor più felice è la scoperta di nuovi fiori proprio all'inizio dell'autunno, nei giorni in cui la vigoria della vegetazione inizia a declinare. Quando poi abbiano corolle giallo luminoso come Sternbergia lutea l'evocazione della solarità darà piena consolazione anche in mattine come questa, mentre le nuvole atlantiche risalgono dalla pianura e nascondono il paesaggio.

Ma prima di considerarlo per le impressioni che può suscitare, lo spostamento del periodo di fioritura da un equinozio all'altro va inteso come il risultato dell'adattamento al clima mediterraneo, nel quale è l'estate siccitosa la stagione avversa piuttosto che l'inverno, mite e piovoso. E difatti le otto specie di Sternbergia oggi riconosciute sono proprie del bacino del Mediterraneo o della vicinissima Asia. Abbastanza simili tra loro - alcune distinguibili solo dai botanici - hanno il maggiore rappresentante in Sternbergia lutea, che abita i giardini europei almeno dal '500 (il Clusius la descrive come Narcissus autumnalis major nel Rariorum plantarum historia, pubblicato nel 1601) e trova posto anche nel famoso mazzo di fiori dipinto da Jan Brueghel dei Velluti conservato nella Pinacoteca Ambrosiana (qui sotto). Le vicende della designazione botanica di questa pianta sono complesse e solo nel 1803 le viene attribuito il nome attuale, in onore del conte, boemo nonché naturalista, Kaspar Maria von Sternberg (ovvero monte della stella - niente di meglio per il nostro giallissimo fiore).


Cresce spontanea nei prati aridi e sassosi, tra le rocce o al margine dei boschetti, ma la diffusa coltivazione ne ha favorito la naturalizzazione fuori dagli areali d'origine e oggi la si incontra pure in Italia settentrionale; rimane comunque una specie rara e protetta. Nei giardini vecchi più di cinquant'anni non è infrequente, si tratti pure di un ciuffo dimenticato. Eppure proprio in questi casi non riceve la considerazione che merita - tant'è che mi è accaduto più volte di vederla trattare come una malerba o poco meglio; forse la consuetudine unita alla facilità con cui sopravvive senza cure la fa apparire banale? Certo è che non tutti i giardini sono adatti ad ospitarla: nelle aiuole "ordinate" è fuori posto - mentre è a suo agio in spazi già appena selvatici. Ma dipende più dalla mentalità del giardiniere che dalla forma del giardino. Ebbi i miei primi bulbi circa vent'anni fa grazie a due anziane sorelle che abitavano in un villino più vecchio di loro; in sostituzione del più comune ofiopogon, le piante di Sternbergia bordavano un'aiuola a losanga, separata dalla ghiaia circostante con sottili cordoli in cemento decorato. Erano molto apprezzate anche per le foglie verde intenso; queste infatti compaiono insieme ai fiori e durano fino all'inizio dell'estate, prima erette poi piegandosi quasi orizzontali ai primi freddi.

Sarà la mancanza di sincronia con il ciclo omologato dei fiori da banco che la tiene lontana dai giardini? Troppo tardi per le piantagioni estive - troppo presto per quelle invernali? Che anarchia!

Sicuramente non è una pianta che troverete dal vivaista sotto casa; ma val la pena cercarla; se ben trattata si moltiplica rapidamente ed è in grado di adattarsi alle situazioni più diverse, dal pieno sole alla mezz'ombra (Ippolito Pizzetti suggeriva di piantarla sotto cespugli di Prunus subirthella "Autumnalis"), in terreni sciolti o pesanti; sta bene anche in vaso. Oro da regalare.

Sternbergia lutea 01

mercoledì 22 settembre 2010

La necessità della Rosa - Blush Noisette e M.me Alfred Carriere

Fiori per sopportare il cambio di stagione (a me basta una settimana di tempo autunnale per rimpiangere anche le peggiori calure d'agosto) per fortuna abbondano: Anemone e Aster in varietà, Begonia evansiana, Clematis orientalis e poi giù fino a Sternbergia lutea. Molti i colori, tenui o brillanti, e pochi i profumi, a dire il vero - con l'eccezione fuori scala dell'osmanto.

E allora, per avere soccorso nei tempi incerti, sarà saggio affidarsi a quelle varietà di rosa che siano tanto rifiorenti quanto profumate (escludendo così la maggior parte di quelle moderne). Tra le varie candidate, eccone due che sono entrate nella storia del loro genere così come in quella del giardino, molto diverse tra loro sebbene l'una forse discendente dall'altra, ovvero due noisettiane: "Blush Noisette", antica, e "M.me Alfred Carriere", celeberrima.

Si sa quanto il caso stia all'origine di questo gruppo di varietà: un appassionato incrocia Rosa moschata con Rosa chinensis "Old Blush" e un professionista seleziona tra la varia figliolanza gli esemplari che sembrano riunire le migliori caratteristiche, ma solo in tempi successivi saranno rivelate le grandi potenzialità di una scelta suggerita dall'intuito. Tra le prime, forse la prima in assoluto, "Champney's Pink Cluster", che Redouté ritrae probabilmente come Rosa noisettiana.

(Qui troverete un interessante racconto sulla nascita e sulla prima diffusione delle rose noisettiane) 

...

Rosa "Blush Noisette"

In "Blush Noisette", nata direttamente da "Champney's Pink Cluster", si riconoscono ancora i caratteri delle progenitrici. La forma dei fiori e delle infiorescenze, globose e dense, appartengono più a Rosa moschata che alle rose cinesi, da cui sembra derivi invece la ramificazione - piuttosto rigida e angolosa per una rosa descritta come "rampicante". E in effetti credo sia preferibile coltivarla senza sostegni, così che formi un ampio cespuglio, nel qual caso si potranno apprezzare più da vicino tutte le sfumature bianco-rosate dei fiori e, naturalmente, il loro profumo. Che offre una piacevole sorpresa: si sa che in alcune rose sono i petali a profumare, in altre gli stami; ebbene, in "Blush Noisette" profumano e gli uni e gli altri e in due note distinte, ovvero di rosa i primi e di muschio i secondi, in una combinazione non comune.

La crescita non è particolarmente vigorosa - lenta addirittura nei primi anni; è una varietà da coltivare insieme a cespugli sempreverdi dalle dimensioni contenute, scelti anche per il colore del fogliame, in modo che questo contribuisca a far risaltare i toni tenui dei fiori della rosa, come Osmarea burkwoodii; oppure, per lo stesso motivo, con cespugli dai fiori azzurri: avendo abbastanza spazio, Vitex agnus-castus.
  
Rosa "Blush Noisette" 01
 
...

Una delle rose preferite da Vita Sackwille-West - tant'è che a Sissinghurst ricopre il Cottage sull'intera facciata prospicente il giardino - Rosa "M.me Alfred Carriere" ha un portamento assai differente da quello di "Blush Noisette" ed è certo in grado di superare rapidamente i quattro metri e mezzo indicati da Peter Beales come altezza massima. L'esuberanza si manifesta appieno dopo circa tre anni dall'impianto - ma da quel momento sembra aumentare geometricamente: i rami prodotti in estate possono crescere di quasi tre metri, per poi ripiegarsi sotto il proprio peso, così che la pianta mantiene comunque un aspetto gentile, dal momento che a questa varietà non appartengono i fin troppo robusti, rigidi e spinosi rami propri invece delle rose tea. Nella primavera seguente, dalle gemme più forti delle nuove branche si sviluppano i rametti fioriferi, ciascuno provvisto di pochi bocci; questi però si schiudono in successione, prolungando così il periodo della prima fioritura. Poi, fino alle soglie dei primi geli, pur senza ripetere l'abbondanza di maggio, i fiori non mancano mai.

Rosa "M.me Alfred Carriere" 05

Stranamente, i fiori primaverili hanno un aspetto ben diverso da quelli che si schiudono in estate e in autunno; i primi sono di aspetto leggero, dai petali esterni ampi e mai numerosi; i secondi hanno invece una forma più raccolta, dovuta a un maggior numero di petali, tutti di dimensioni simili; anche il colore muta e si fa più intenso passando da un bianco sfumato di cipria a un rosa dichiarato seppure tenue. Solo il profumo non cambia: leggermente speziato, pungente, si diffonde bene nell'aria (cosa insolita in una rosa) e riempie di sé il giardino e la casa.

Rosa "M.me Alfred Carriere" 03

Rosa "M.me Alfred Carriere" 04

La coltivazione di queste rose è fortemente consigliata come sostitutiva del consumo di piante quali la valeriana o l'iperico: l'effetto terapeutico della bellezza non dovrebbe essere sottovalutato - se non costa meno, certo è più piacevole.
 
Rosa "M.me Alfred Carriere" 07

(Ma avete idea di quanto puzzi la radice di valeriana?)

lunedì 13 settembre 2010

Andare a campi




Se non è l'opinione di un'esperto agronomo, certo è l'espressione di uno scrittore che con il paesaggio ha un rapporto intenso e profondo; e questo gli permette di "vedere lontano" (per usare il suo vocabolario). E semplicemente considerando quanto importiamo di pomodori, di grano duro, di olio d'oliva, di latte... (oltre a prodotti di lusso come pistacchi, zafferano, pinoli... eppure la qualità delle coltivazioni italiane è considerata superiore a quelle di ogni altro Paese) si potrebbe aggiungere che nelle politiche agricole abbiamo perduto tutti i 50 anni che ci separano da quell'epoca. Né pare che qualcosa stia per essere fatto. Eppure la pratica dell'agricoltura ha riflessi diretti sul paesaggio, sull'identità del territorio e di qui sul turismo - anche attraverso la cucina - e ancora sul lavoro, l'economia, la salute, l'immigrazione persino (da dove viene chi raccoglie i nostri pomodori? e qual è l'impatto ecologico di quelli importati? con quali criteri si stabiliscono le "quote latte"?  la pasta è ancora il piatto nazionale se è prodotta con grano tenero estero? chi preserva il territorio nei luoghi in cui la campagna è abbandonata?).


Giovannino Guareschi, Notte di giugno, in L'anno di don Camillo, Milano, 1996.

domenica 12 settembre 2010

Quando si dice il Caso...

Di quanto l'alea entri nella realizzazione dei giardini si accennava nei commenti al post dello scorso 1 settembre; come l'antichissima arte si affratelli così ad altre ben diverse lo impariamo dall'articolo di Massimo Carboni uscito oggi su IlSole24Ore, anticipazione dell'intervento che lo storico dell'arte terrà a Sassuolo in occasione della prossima edizione di Festivalfilosofia - Cinquanta lezioni sul buon uso dell'incertezza.

Massimo Carboni, Una mosca sul viso di Giovanna,
IlSole24Ore, anno 146 n° 250, 12 settembre 2010.

(W la musica di John Cage).

lunedì 6 settembre 2010

Giardino di Poeta - 08

(Lo sconvolgimento che la perdita genera e il dolore che da questo deriva, sebbene lontano - anche nel tempo, chiamano alla compassione, alla partecipazione. Allora la serenità, substrato e frutto del giardino, appare sterile; la bellezza, con cui il giardino si manifesta, appare inutile; la separatezza e l'autosufficienza che gli sono propri sembrano trasfigurarsi nell'egoismo).


Sette Canzonette del Golfo


Ah letizia del mattino!
Sopra l'erba del giardino
la favilla della bava,
della bava del ragnetto
che s'affida al ventolino.

Lontanissime sirene
d'autostrada, il sole viene!
Che domenica, che pace!
È la pace del vecchietto,
l'ora linda che gli piace.

Le formiche in fila vanno.
Vanno a fare, ehi! qualche danno
alle pere già mature...
Quanto sole è sul muretto!
Le lucertole lo sanno.


Lontano lontano si fanno la guerra.
Il sangue degli altri si sparge per terra.

Io questa mattina mi sono ferito
a un gambo di rosa, pungendomi un dito.

Succhiando quel dito, pensavo alla guerra.
Oh povera gente, che triste è la terra!

Non posso giovare, non posso parlare,
non posso partire per cielo o per mare.

E se anche potessi, o genti indifese,
ho l'arabo nullo! Ho scarso l'inglese!

Potrei sotto il capo dei corpi riversi
posare un mio fitto volume di versi?

Non credo. Cessiamo la mesta ironia.
Mettiamo una maglia, che il sole va via.


Se la tazza mi darai
che mi piace, la mia tazza
con il manico marrone,
gentilissima ragazza,
tu felice mi farai.

Il suo manico ha il colore
del più vivo e ricco tè
ma riflette anche il turchino
del leggero cielo se
è leggero come te.


Gli imperatori dei sanguigni regni
guardali come varcano le nubi
cinte di lampi, sui notturni lumi
dell'orbe assorti in empi o rei disegni!

Già fulminanti tra fetori e fumi
irte scagliano schiere di congegni:
vedi femori e cerebri e nei segni
impressi umani arsi rappresi grumi.

A noi gli dèi porsero pace. Ai nostri
giorni occidui si avvivano i vigneti
e i seminati e di fortuna un riso.

Noi bea, lieti di poco, un breve riso,
un'aperta veduta e i chiusi inchiostri
che gloria certa serbano ai poeti.


Come presto è passato l'inverno
fra clamori terribili e vani!
Le battaglie di popoli estrani
che mai sono in confronto all'eterno,
all'eterno degli ippocastani
che dai ceppi si industriano lenti
a sperare germogli lassù?

E tu assorta graziosa annoiata
sul terrazzo, in pigiama pervinca,
forse chiedi al mattino che vinca
come il sole la bruma ostinata
così il bene sui campi cruenti?
Ma è domenica, è marzo: non senti
che un altr'anno, e il suo peggio, svanì?


Aprile torna e a sera un frescolino
irrita gote di ragazze accese:
in un palio ciclistico protese
volanti rubiconde mutandine.

Come rauche ora vociano parole
quasi laide nell'aria della sera!
Fu dolce, in altro tempo, primavera.
Godono pepsi cola ignude gole.

I ragazzi le annusano. Una bella
passò, di zinne e deltòidi ribaldi
e d'altro che acre un dì mi fu diletto.

Ma come mai sensibile diletto
trovar non so che me attonito scaldi?
Sì, d'aprile il dormire è cosa bella.


Se mai laida una limaccia
quando a ottobre l'aria è spenta
lenta bava perse lenta
che di lunga e liscia traccia
porri o sedani segnò,

metaldèide in grigi grani
fai che inghiotta; e a globo stretta
plasma e anima rimetta.
Quanti soli già lontani
la lucertola mirò!

Lento a dèi crudeli e ignoti
va il mio bruno ultimo fiele...
Dove volgi, ansia fedele?
A che vomito mi voti,
cara meta che non so?




Franci Fortini, da Composita Solvantur, 1994. 

Giardino di Poeta - 07

Settembre

Già l'olea fragrante nei giardini
d'amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d'aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate.

Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio,
andremo a lento guado coi cani
nell'onda che rotola minuta.


Vittorio Sereni, da Frontiera, 1941.


(È il presentimento della perdita, inevitabile perché già appartiene alla vita - perdita ancora indefinita, pena per ora sospesa, che tuttavia neppure la dolcezza riesce a mascherare; e il tentativo sa di ipocrisia).

mercoledì 1 settembre 2010

Lasciatemi divertire

"[...] la costruzione dei giardini non è questione di scienza, ma appartiene al campo dell'arte. Il costruttore ideale non sarà, pertanto, l'architetto che operi un freddo lavoro di calcolo delle proporzioni, ma il letterato, che derivi ogni decisione da un'attenta valutazione del proprio bagaglio culturale e da una profonda conoscenza dell'animo umano."

Così scrive Maria Alessandra Bassi, nell'introduzione a L'arte dei giardini cinesi di Chen Congzhou, riassumendo le considerazioni dell'autore sulla progettazione dei giardini.

E, aggiungo, altrettanta consapevolezza dovrebbe appartenere al committente - per superare lo stadio del giardino concepito come "verde attrezzato", pubblico o privato che sia.




Chen Congzhou, L'arte dei giardini cinesi, Milano, 1987.
(grazie a Federico Diogene per avermelo fatto conoscere)

L'immagine proviene da Le trecento poesie T’ang, a cura di Martin Benedikter, Torino, 1961 
ne trovate altre qui http://www.rlivio.it/cina/luoghigm.htm