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sabato 3 luglio 2010

I fiori del sambuco - Paesaggi da mangiare 03

Più una pianta è diffusa sul territorio e vi abbonda, più incide sulla fisionomia del paesaggio, talvolta in modo appariscente, come accade durante la fioritura, la fruttificazione o il mutamento di colore delle foglie in autunno. Eppure questa sarà la pianta su cui meno si soffermerà l'attenzione di chi oggi, abitando quel paesaggio senza dipenderne direttamente, la considera fin troppo comune, banale persino. Mentre proprio l'abbondanza potrebbe averne fatto una risorsa preziosa in tempi diversi dal nostro. Come è il caso del sambuco (Sambucus nigra), specie tipicamente europea, distribuita su tutto il territorio italiano grazie alla sua adattabilità, bastandole per attecchire un terreno che non rimanga secco troppo a lungo; lo testimoniano i numerosi nomi locali (Liguria, Sambugu; Piemonte, Sureau;  Lombardia, Sambüch, Schitac; Veneto, Saugo, Sambugar; Emilia, Zambuch; Marche, Savuchi; Abruzzo, Zammuco; Lazio, Sambuco puzzoloso; Campania, Savuco; Calabria, Savuco; Sicilia, Savuco di gai; Sardegna, Sambucu mascu, Saùcu, Savùcu...) e la sua elezione da parte dei botanici a specie guida negli studi di fenologia.

Sambucus nigra


In questi giorni il sambuco è ancora in fiore in montagna intorno ai mille metri d'altitudine, mentre più a valle o più a sud delle Alpi è fiorito già alcune settimane fa. E invero, pur crescendo ovunque, sembra essere una specie legata più alla cultura nord-europea che a quella mediterranea (come ricorda Alfredo Cattabiani*, con le dovute eccezioni). Secondo l'antropologia, viene preso in considerazione come alimento ciò che è abbondante, facile da raccogliere, capace di fornire adeguata quantità di calorie in rapporto a quella spesa per procurarselo e in assenza, localmente o temporalmente, di cibi più vantaggiosi. Ma, se è vero che molta frutta, coltivabile al sud, al nord non resisterebbe all'inverno o non avrebbe resa sufficiente e potrebbe perciò esser stata sostituita dal sambuco, l'uso odierno che se ne fa non sembra nascere da una necessità alimentare. L'erudito bolognese Pier de' Crescenzi, nel quinto libro del Ruralium Commodorum Libri XII, del 1304, ne registra l'uso dei rami per fabbricare archi o frecce o, essendo cavi, cannule, mentre delle foglie dei fiori e soprattutto della corteccia in medicina. Non parla d'altro. Molto più nutrito il numero degli usi previsti dalla farmacopea popolare d'Oltralpe (e alpina, pure), quando la medicina sconfinava facilmente nella magia. E il sambuco era considerato efficace nel tener lontane malie, demoni e streghe - finendo su questa strada come bacchetta magica nelle mani di Harry Potter... 
Si riteneva che le malattie fossero originate da uno squilibrio tra i quattro umori (bile, atrabile, sangue e flegma), le cui cause erano varie e molteplici, comprendendo anche gli influssi degli astri e i malefici degli uomini: la coincidenza di virtù medicamentose e apotropaiche nella stessa pianta non dovrebbe esser ritenuta casuale. Se mai dunque il sambuco ha sostituito al nord una pianta mediterranea, questa sarebbe la salvia, pianta capace di tener sani più di ogni altra (Cur moriatur homo, cui salvia crescit in horto? si chiedeva la Scuola Salernitana).
Oggi sappiamo che le parti verdi della pianta, pure maleodoranti, la corteccia e i semi sono velenosi, ma non la polpa dei frutti e i fiori. Ecco dunque che il prodotto più noto che si ricava dal sambuco, lo sciroppo ottenuto dalla macerazione dei fiori, potrebbe essere l'ultima propaggine dei preparati studiati un tempo per conservarne le virtù oltre l'epoca della fioritura.

A conferma, una ricetta svedese e una altoatesina.

Sciroppo svedese (grazie a Miriam):

infiorescenze di sambuco n. 40-50
limoni interi di coltivazione biologica n. 5-6
zucchero kg 2
acqua lt 2

Porre i limoni tagliati a fette e le infiorescenze pulite dalle scorie ma non lavate (evitate di raccoglierle lungo la strada!) in una capace pentola.
In una seconda pentola portare ad ebollizione l'acqua in cui si sarà sciolto lo zucchero.
Versare lo sciroppo sui fiori, incoperchiare e lasciare riposare 5 giorni in luogo fresco.
Trascorso questo tempo versare e imbottigliare.
Va detto che la concentrazione dello zucchero non è sufficiente per preservare lo sciroppo dalla fermentazione; è consuetudine perciò aggiungere ai fiori 50 g di acido citrico, reperibile in farmacia; anche con questo accorgimento è preferibile conservare lo sciroppo in frigorifero e consumarlo entro la fine dell'estate. In alternativa, potete congelarlo in dosi singole.

Frittelle (le gustai per la prima volta in Val Gardena molti anni fa: la ricetta che trascrivo cerca di riprodurre quella prima impressione di sapore):

infiorescenze di sambuco del diametro di 10-12 centimetri n. 20 (usare infiorescenze più grandi rende più difficile la cottura)
farina g 150
vino bianco n. 4-5 cucchiai da tavola
burro n. 2 cucchiai da tavola
latte n. 2 cucchiai da tavola
miele n. 4 cucchiai da tavola
uova n. 4
lievito per dolci g. 10
olio per friggere di sapore delicato

Setacciare la farina con il lievito, impastarli con le uova e il burro fuso, diluire con il latte e aggiungere il vino e il miele.
Immergere le infiorescenze nella pastella e tuffarle una alla volta nell'olio a 160° C, scaldato in una pentola dal fondo concavo.
Ritirarle quando le creste della pastella iniziano a scurirsi e la frittella è ben dorata. 
Farle sgocciolare su carta assorbente e mangiarle scottandosi la lingua.

Sambucus nigra

Della marmellata non do ricette: il frutto non ha alcuna traccia dei profumi del fiore e, alla fine, il lavoro necessario per separare la polpa dai semi mi sembra sproporzionato al risultato.


* Alfredo Cattabiani, Florario - Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Milano, 1996.

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