A una settimana di distanza una dall'altra, ho visitato due vallate vicine tra loro sulle Dolomiti. Entrambe sono state attrezzate per accogliere i turisti - ma se in una ciò avviene con discrezione, con più mestiere si potrebbe dire, nell'altra gli adescamenti sono più scoperti - più leggibili nel contrasto tra le cime aspre, inadatte a un turismo "comodo", e i pendii più dolci in basso, quasi totalmente antropizzati (questo è solo il primo dei termini in corsivo nello scritto di oggi: vi sono parole il cui significato andrebbe ridefinito ogni volta).
Durante l'inverno sciare per quei monti e per quelle valli sarà certo molto divertente: una pista prolunga l'altra e tutte sono collegate dai nuovissimi impianti di risalita che permettono di valicare passi e di cambiare versante senza fatica, senza noie; ma in estate, sciolta la copertura della neve, la suggestione giocosa scompare e la fisionomia della montagna appare nuda e alterata da sterri e rinterri, disboscamenti e rimboschimenti, con torrenti deviati, canalizzati o dai letti in cemento, con piloni, tralicci, quadri per i collegamenti elettrici, cannoni sparaneve, ripetitori telefonici, antenne, cavi sospesi... La vegetazione è impoverita: poche specie resistono allo stress dovuto al passaggio degli sciatori e dei mezzi per la manutenzione o al dilavamento causato dall'acqua del disgelo prima e poi dei temporali estivi, non più trattenuta dagli alberi o dai cespugli (rododendri, mughi, ginepri, ontani e salici nani) estirpati su tutta la larghezza del tracciato delle piste; gli animali - uccelli e marmotte i più visibili - si sono ritirati sui versanti più ripidi o rocciosi.
Ho avuto più occasioni di entrare per lavoro in un parco di divertimenti durante i mesi di chiusura - e analoga è stata l'impressione deludente nello scoprire il fondale dipinto che si mostra per quello che è.
Eppure le montagne sembrano saper offrire una resistenza superiore a quella di cui sono stati capaci le foreste, ora campi coltivati, o i fiumi, racchiusi in alvei artificiali, o i colli ora terrazzati se non traforati dalle cave; forse perché le montagne possono "produrre" solo grazie alla propria bellezza: alterarle oltre un certo grado significherebbe distruggerla - e fine del business. Alle modifiche degli altri elementi del paesaggio ci siamo abituati tanto da non avvertirle più come tali - tanto che ci appaiono luoghi naturali. La montagna rivela ancora quel che era prima che vi mettessimo mano, anche se molto abbiamo fatto per addomesticarla - e dunque rivela pure le nostre capacità di conversione dei luoghi: da spazi spontanei a proprietà.
Passaggio che potrebbe essere forzato dagli intenti del Governo sui beni demaniali.
Ai primi di giugno ho avuto la fortuna di godere dell'alta Val Maira, nel cuneese. I limiti dello sviluppo -espressione da declinare nella sua accezione più positiva, come assenza di consumo e consunzione- si vedevano tutti.
RispondiEliminaAbitare un luogo, consapevoli in qualche modo del legame con esso (o anche visitarlo da ospite come si entrerebbe in casa d'altri) VERSUS Abusarne e poi passare altrove (o anche cercare di operarvi a fin di bene, ma senza capire che se ne fa parte, che comunque si è dentro il paesaggio).
RispondiElimina"Abbatti tu, forse, boschetti di alberi in fiore per raccoglier legna in primavera? Noi cureremmo queste radure di pietra fiorita, non le trasformeremmo in miniere".
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/14/dolomiti-il-sacco-dei-monti-pallidi/50352/
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